La Nuova Sardegna

Oristano

Il teste chiave non si trova più

di Michela Cuccu
Il teste chiave non si trova più

Rizza Bardi, albanese finto cardiologo e forse confidente degli inquirenti, si è volatilizzato

18 ottobre 2019
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ARBOREA. Testimoni che non si trovano o che non si vorrebbero trovare. C’è un uomo che si chiama Rizza Bardi, di origini albanesi, che forse avrebbe potuto raccontare molto al processo sul presunto giro di prostituzione all’interno della comunità per detenuti “Il Samaritano”. Il testimone però si è reso irreperibile. Citato dal pubblico ministero Marco De Crescenzo e indicato anche dagli avvocati Anna Maria Uras e Franco Luigi Satta, che difendono don Giovanni Usai, ex responsabile della struttura ed accusato di favoreggiamento della prostituzione assieme al nigeriano Gabriel Imasidou Osarhewinda, accusato anche di abuso sessuale (difeso dall’avvocato Carlo Figus), Bardi è una delle figure piuttosto ambigue che compaiono nell’inchiesta che continua a far clamore. Per lungo tempo ebbe infatti accesso al Samaritano dove era arrivato per scontare una condanna. Il suo nome compare più volte nell’inchiesta perché, da medico, aveva raccolto le confidenze delle donne nigeriane che gli avrebbero raccontato di sesso in cambio di denaro all’interno della struttura. Confidenze che lui riferisce ai carabinieri e diventano importanti nell’inchiesta. Solo dopo una denuncia dell’avvocato Anna Maria Uras, si scopre che non era un medico cardiologo (anche se aveva ottenuto il permesso di visitare don Usai, il quale si rifiutò di incontrarlo, nel convento dove era agli arresti domiciliari) e che forse era uno degli informatori dei carabinieri che conducevano le indagini. A processo ormai avviato, Bardi si fa vivo con l’avvocato Uras: con una serie di mail dice di essere stato usato dagli inquirenti e di voler raccontare tutto. L’avvocato rifiuta di incontrare l’uomo (non può dato il suo ruolo di difensore di don Usai) ma informa la Procura e presenta un esposto. Bardi fa perdere di nuovo le sue tracce. Anche il pubblico ministero, a questo punto, decide di rinunciare alla sua testimonianza. Non i legali di don Usai che ieri, nonostante le insistenze, si sono visti rigettare dal collegio (presidente Carla Altieri, a latere Elisa Marras e Francesco Mameli) la richiesta di affidare alla procura un nuovo tentativo di rintracciare il testimone. Così non si saprà mai chi fosse esattamente quell’uomo e che ruolo avesse nell’intera vicenda: «avremmo voluto chiarire questo aspetto a dir poco inquientante», ha detto l’avvocato Satta. Non è il solo aspetto ambiguo emerso dal processo. Ieri infatti, il maresciallo il maresciallo Giuseppe Zara, che condusse le indagini, ha reso dichiarazioni contrastanti con quelle della testimone che, durante la precedente udienza, aveva raccontato di aver saputo che anche don Usai avrebbe fatto sesso a pagamento con le ragazze detenute nella Comunità. E come la volta scorsa, le frasi ancora una volta sanciscono la distanza con gli avvocati difensori Anna Maria Uras e Carlo Figus, che credono che le ricostruzioni di alcuni testimoni siano di comodo o addirittura infarcite di bugie. Ieri intanto è stato fissato il calendario per la discussione del processo. Il 23 gennaio prossimo dovranno trarre le conclusioni accusa e parte civile; il 20 febbaio sarà la volta della difesa, mentre le repliche sono state fissate al 19 marzo.

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