La Nuova Sardegna

Oristano

In carcere da innocente, risarcita

di Enrico Carta
In carcere da innocente, risarcita

La storia processuale di Simonetta Pili: per 119 giorni in cella per maltrattamenti mai commessi

30 novembre 2019
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ORISTANO. La legge la chiama «riparazione per ingiusta detenzione». È lo Stato che ammette i suoi errori e paga i cittadini per risarcirli, ma è mai possibile risarcire per davvero chi ha passato dei giorni in carcere, fosse anche uno solo? Che cifra servirebbe per ripagare l’innocente finito dietro le sbarre per un errore giudiziario? E poi c’è il tempo che trascorre dal momento dell’arresto a quello della scarcerazione. Quindi l’attesa dei vari gradi di giudizio e l’assoluzione che arriva dopo anni. Non è però finita perché solo adesso si può far causa allo Stato che ha sbagliato e bisogna aspettare ancora a lungo prima che lo stesso Stato abbia la forza di ammettere il proprio errore e risarcire quel cittadino che non aveva tutelato.

Simonetta Pili, 52 anni di Siamanna, ha bene in mente le date di questa storia. La prima è il 3 marzo 2010, l’ultima, quella in cui è stato deciso il risarcimento, è il 21 ottobre 2019. In mezzo ci sono nove anni fatti di giorni non tutti uguali. I primi 119 li trascorre in carcere perché, qualche ora dopo un interrogatorio da semplice testimone, viene arrestata. Ha appena fornito una versione diversa da quella contenuta in una denuncia e sostenuta dal pubblico ministero Diana Lecca sui presunti maltrattamenti e abusi sessuali avvenuti all’interno della struttura di accoglienza per anziani “Casa Serena” a Palmas Arborea. Il primo a finire sotto accusa era stato il compagno di lavoro di Villaurbana, Pier Paolo Murru. Gli si contestano le sevizie ai danni di un anziano che lo stesso Murru si è attribuito. È una spacconata che però ha un prezzo. In carcere finisce l’operatore, la sua collega Simonetta Pili che continuava a negare quanto la procura contestava, lo segue pressoché immediatamente. Senza colpe, senza aver detto una sola bugia si ritrova in una cella di piazza Manno. Il carcere oristanese non ha la sezione femminile e per quattro giorni finisce in una cella già dismessa. Le fanno compagnia una branda e molte macchie di umidità sui muri di una struttura che si prepara a chiudere per sempre. Al quinto giorno cambia carcere e compagne. La polizia penitenziaria la porta a Nuoro: stavolta non è sola. La cella è troppo piena e ospita detenute con condanne già definitive e seri problemi di salute.

A Badu ’e Carros trascorre 115 giorni. Il 27 luglio 2010 viene scarcerata e ha già perso il lavoro e se stessa. Spera che le indagini facciano emergere la verità, ma arriva il rinvio a giudizio. L’assoluzione di Simonetta Pili, assistita per la fase del processo penale dall’avvocatessa SaraGhiani, è del luglio 2014. A marzo 2015 parte la causa allo Stato. La presenta l’avvocatessa Rosaria Manconi che, dopo alcune udienze, ottiene ragione nel 2017. Sembra una pagina chiusa, invece la Stato, che aveva impiegato meno di due giorni per mandarla in carcere, tarda due anni per decidere quanto risarcire. Riconosce i 235 euro di diaria, cifra stabilita dalla legge per ogni giorno di ingiusta detenzione, e un ulteriore risarcimento di piccola entità per il pregiudizio subito da un processo del genere e per la perdita del lavoro.

E adesso cosa resta? Simonetta Pili non ne vuol più parlare. Le poche frasi sono dell’avvocatessa Rosaria Manconi: «Finisce una vicenda giudiziaria dolorosa e lunga. Il processo aveva accertato l’innocenza, questo provvedimento dice che era illegittima la misura cautelare. Lo Stato riconosce l’errore in cui è incorso durante le indagini e soprattutto riconosce il danno morale e materiale subito nel corso della detenzione». Tutti gli altri angoli della storia li conosce solo chi l’ha vissuta.

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