La Nuova Sardegna

Oristano

tribunale 

Maltrattamenti in famiglia, al processo il pm chiede 4 anni

di Michela Cuccu
Maltrattamenti in famiglia, al processo il pm chiede 4 anni

ORISTANO. Avrebbe tenuto per due lunghi anni rinchiusi in casa la moglie e il figlio gravemente disabile, ma adesso è lui, il padre a rischiare di finire in carcere, per quattro anni. È questa la...

11 febbraio 2020
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ORISTANO. Avrebbe tenuto per due lunghi anni rinchiusi in casa la moglie e il figlio gravemente disabile, ma adesso è lui, il padre a rischiare di finire in carcere, per quattro anni. È questa la condanna sollecitata ieri al pubblico ministero del tribunale di Oristano, Daniela Caddeo, dopo una lunga requisitoria al processo dinanzi al giudice monocratico Elisa Marras, che vede imputato un padre per il reato di maltrattamenti in famiglia. Teatro dell’assurda vicenda approdata nelle aule giudiziarie a seguito della denuncia presentata dalla moglie, una casa di campagna in Marmilla. Abitazione isolata dove l’uomo, secondo le accuse, avrebbe tenuto in stato di segregazione la famiglia. La moglie non aveva nemmeno le chiavi di casa e non poteva uscire, ma la vita fra quelle pareti che di domestico avevano perduto ogni connotato, era resa ancora più difficoltosa perché per lungo tempo non c’erano neppure l’acqua corrente e l’energia elettrica. Tanto è vero che ieri, ricostruendo il difficile menàge familiare, il pubblico ministero ha riportato il racconto della donna che, rispondendo al giudice in fase di istruttoria, aveva raccontato che erano costretti a conservare l’acqua utilizzata per lavare i piatti, per usarla in bagno al posto dello sciacquone. Vita dura senza contatti con l’esterno (in paese nessuno li aveva più visti neppure per andare a fare la spesa) per madre e figlio, lasciati anche senza telefono. Nel frattempo al bambino venne persino impedito di andare a scuola e quando le insegnanti, preoccupate dalla lunghissima assenza, chiesero al padre cosa fosse accaduto, lui si sarebbe giustificato inventando una gravissima malattia della moglie, che invece, era perfettamente sana. Un giorno però, il marito, che usciva di casa al mattino presto per rientrare la sera tardi, si dimenticò il telefonino e la donna potè fare finalmente quella chiamata al Centro antiviolenza Donna Eleonora di Oristano, per chiedere aiuto. Iniziò così un percorso non facile di contatti con le operatrici della struttura che la donna incontrava nelle uniche occasioni di uscire: quando si recava in ospedale per far visitare il figlio che nel frattempo, come hanno testimoniato i pediatri, stava peggiorando a causa del lungo isolamento. Con un sotterfugio, una mattina, madre e figlio riuscirono ad “evadere” a bordo di una autoambulanza, per non tornare mai più nella casa-prigione.

La donna e il bambino vennero portati in ospedale, qui incontrarono gli agenti della Questura che raccolsero la drammatica denuncia.

Il processo proseguirà il 9 marzo quando, parleranno la parte civile, rappresentata dall’avvocato Roberto Martani e l’avvocato difensore, Maria Giuseppa Scanu.

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