La Nuova Sardegna

Oristano

Nell'Oristanese catena di Sant’Antonio con truffa

Enrico Carta
Nell'Oristanese catena di Sant’Antonio con truffa

Centinaia di persone raggirate con lo schema Ponzi. La questura: «Denunciate»

13 febbraio 2020
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ORISTANO. È lo «schema Ponzi», ma non è una tattica calcistica e Ponzi non è un allenatore. Tanto meno il famoso investigatore romano che indaga su chissà quale caso. È colui che dà il nome alla classica catena di Sant’Antonio dove pochi incassano e molti pagano; il sistema piramidale in cui i vertici si fanno d’oro e tutti gli altri restano con la testa sotto la sabbia. È nato chissà dove nella penisola, ma a finire nel trappolone dei signori della truffa è stato qualche centinaio di investitori della provincia raggirati da fasulli broker dalla carta d’identità sardissima. Le maglie della rete gettata dai finti operatori finanziari si sono strette facendo molte prede, soprattutto a Cabras e Santa Giusta: c’è chi ha messo poche decine di euro, chi diverse decine di migliaia. Come i pesci: non tutti sono grossi, ma anche quelli piccoli alla fine servono e ci si può comunque tirar su un’ottima frittura.

La pesca però è finita. La questura, in particolare gli agenti della Squadra mobile coordinati dal dirigente Samuele Cabizzosu sotto la regia della procura della Repubblica, hanno lanciato l’allarme, ma soprattutto hanno già individuato alcuni probabili sedicenti promotori finanziari. Facile prevedere che ne sarà di loro – non sono pochi –, perché la denuncia per esercizio abusivo della professione finanziaria è scontata. Un po’ meno lo è quella per truffa, perché per quest’ultima ci vogliono le querele e allora ecco che scatta l’appello affinché ci si presenti in questura per denunciare così far crollare definitivamente la piramide e magari recuperare anche i soldi persi.

La truffa però avrebbe vissuto all’ombra di società collegate alla principale: la Bolton First Credit, così come riportato in più comunicazioni dalla Consob e dalla Banca d’Italia che hanno anche spiegato che la Bolton non è titolata a operare nel territorio nazionale. Eppure in Italia operava e a Oristano aveva ramificazioni estese, grazie alla promessa di interessi sugli investimenti pari al 5% mensile. Illusione? Per chi tra i primi si tuffava a pesce in questa scommessa ed entrava negli ingranaggi della catena di Sant’Antonio, quando ancora era vasta la platea di coloro che potevano essere attratti e quindi catturati, il guadagno è stato automatico e assai soddisfacente. Gli altri? Gli altri sono rimasti fregati, convinti dal passaparola e da quelle percentuali da sogno sugli interessi. Dietro c’era invece un’amara realtà: i finti investimenti in cripto-valute avvenivano a seguito di iscrizione a portali internet riconducibili proprio alla Bolton e ad altre società satellite della stessa. Nel cestino della spesa e dei crediti c’era di tutto: dai bit coin, all’oro arrivando persino ai diamanti. Le quote di investimento, dopo essere state acquistate dalle ignare vittime mediante versamenti di denaro, andavano a confluire su conti correnti esteri, direttamente gestiti dalla banda dei truffatori che ben presto potrebbero non essere rintracciabili e sarebbe un bel guaio. Secondo le stime fatte dalla questura e dalla procura, su un totale di 100 investitori, solo 5 avrebbero comunque guadagnato qualcosa oppure moltissimo.

Per tenere gli animi tranquilli, nelle fasi iniziali dell’investimento fittizio, qualcosa rientrava nelle tasche dei truffati. Era una malizia per far credere che tutto funzionasse alla perfezione e che, nel giro di poco tempo, i soldi avrebbero cominciato a girare alla velocità dei simbolini delle slot machine. Era invece un inganno, una parte del sistema che premia pochi e bastona molti. Lo schema Ponzi.

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