La Nuova Sardegna

Oristano

Il pm: «Sei anni per don Usai»

di Enrico Carta
Il pm: «Sei anni per don Usai»

L’accusa chiede la condanna del sacerdote per favoreggiamento della prostituzione al Samaritano

21 febbraio 2020
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ARBOREA. È in tanti discorsi intercettati o nelle dichiarazioni dei testimoni che è scritta la storia del processo a don Giovanni Usai. Per il pubblico ministero Marco De Crescenzo sono le pietre miliari che indicano la strada alla requisitoria sino a chiedere sei anni di condanna per il sacerdote che gestiva la comunità “Il samaritano”, dove venivano ospitati detenuti in regime di pena alternativa al carcere. In attesa delle due successive udienze, per le quali sono previste le arringhe difensive degli avvocati Franco Luigi Satta, Anna Maria Uras e Carlo Figus e la sentenza, don Usai incassa anche un ridimensionamento delle accuse, perché per il pubblico ministero non hanno riscontro le accuse di violenza sessuale. L’altro imputato, il nigeriano Alphonsus Eze, si ritrova davanti una richiesta di condanna a tre anni sempre per favoreggiamento della prostituzione all’interno della comunità.

Le intercettazioni. «Era un porto di mare, dove arrivano persone per le ragazze che, senza passare per l’ufficio, le ospitano direttamente in camera loro», racconta un testimone. Sarebbe successo dal 2005 al 2010 e a finire sotto accusa non è la sfera privata di un uomo in abiti talari, ma la gestione della comunità, dove don Giovanni «tollerava che si prostituissero». Il pubblico ministero fa i nomi di sei ragazze ricostruendo i dialoghi, dove si racconta di un luogo dove i cancelli sono sempre aperti, dove l’alcol abbondava e la droga entrava.

Gli incontri a pagamento. Il telefono è quello di Manuela. Si chiama così e ad Arborea era arrivata dalla Nigeria, dopo il marciapiede e i clienti che ha visto passare lungo la strada. Ora ne attende uno nella sua stanza e al telefono dà le indicazioni affinché la persona si faccia accompagnare da Alphonsus Eze: «Vieni dietro a lui». Poi manda proprio l’altro imputato a recuperare 300 euro a casa del cliente, prezzo pattuito per una serie di incontri. E don Giovanni avrebbe saputo tutto, anzi partecipava. Dirà un’altra delle ragazze che ogni volta che doveva dare loro dei soldi le toccava. Quando viene intercettato mentre parla con Manuela al telefono in piena notte, il dialogo in cui si prova a concordare un incontro, è questo: «Oggi no, non posso essere stanca domani». Quindi chiede dei soldi e il sacerdote risponde: «Te li do domani». Ma il denaro, per il pubblico ministero non è l’unico motore di questa storia: «Don Usai non agisce a scopo di lucro, ma per avere favori sessuali. È questo il movente».

Le ragazze. Un giorno scoppia una lite al Samaritano in cui spunta un coltello e qualcuna delle ragazze finisce con la faccia pesta. Il diverbio era nato per una segnalazione alle autorità di controllo sul comportamento dei detenuti. Rita sgrida Manuela perché prima di fare la segnalazione doveva avvisare don Usai. Non voleva che si sapesse in giro quanto accadeva perché aveva paura di dover tornare in prigione. La vita in fondo era migliore in comunità e vendersi per una scheda telefonica o per un contratto di lavoro e una stanza al Samaritano avrebbe avuto comunque i suoi vantaggi. Altre frasi avvalorerebbero questa tesi dell’accusa: «Una parola e torni in carcere», dice una ragzza; o «prima era generoso coi soldi, i tempi sono cambiati»; e il botta e risposta: «L’ultima volta mi ha dato solo 50 euro» e l’altra di rimando: «Come fa un prete a dare solo 50 euro per una ragazza come te? Visto che non può andare sulla strada perché è un prete deve pagare bene per le ragazze». Alcune si lamentano perché non vogliono compagne in camera: «Se viene da te non lo puoi più vedere. Chi ha da perdere è lui perché non può più fare sesso con te», tanto che ipotizzano di filmare una scena in modo da poterlo ricattare – non lo faranno –. Al dibattimento poi era già emerso uno scambio di mail tra don Giovanni e Josephine: avrebbero avuto una lunga relazione. E Blessing dice: «Va con donne, cerca me. Chi non si comporta bene va in carcere, ma io non vado a letto con lui».

L’abuso sessuale non è provato. Per il pubblico ministero è stato un reciproco scambio senza che la ragazza fosse costretta a intrattenersi con lui. Tesi contrastata dall’avvocato di parte civile Francesca Ferrai che assiste una delle ragazze: «Era una persona sotto scacco per la propria situazione di inferiorità. Se non si fosse concessa sarebbe tornata in carcere, non aveva alternative. La dinamica era quella».

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