La Nuova Sardegna

Oristano

«Io, malato di coronavirus, trattato come un untore»

di Enrico Carta
«Io, malato di coronavirus, trattato come un untore»

Linciaggio social per il paziente di Oristano positivo e ricoverato da sabato. Diffida del legale e denunce in arrivo

10 marzo 2020
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ORISTANO. La gogna mediatica è stata senza fine. Da domenica mattina, momento in cui tutta la città sapeva chi fosse il paziente affetto da coronavirus e ricoverato in terapia intensiva a Sassari, social network, testate on line e chat di ogni tipo hanno iniziato a far circolare non soltanto la foto del paziente, ma anche fantasiose versioni sul suo comportamento sino a farlo passare per untore. I familiari, certo assai ben più preoccupati delle sue condizioni che del pettegolezzo che in alcuni casi è sfociato in diffamazione, hanno tenuto il silenzio per più di 24 ore. Poi si sono dovuti occupare anche di questa parte del caso affidando la loro risposta all’avvocato Gianfranco Siuni. È il primo passo di una vicenda che avrà pesanti ripercussioni su chi, nelle ultime 48 ore, ha divulgato notizie false, violando per giunta la privacy con la pubblicazione di dati sensibili.

La diffida. Il legale entra subito nel vivo della questione: «La procedura di contenimento prevista per prevenire il contagio del virus Covid 19 è stata attivata immediatamente su iniziativa del paziente e dei suoi familiari, ragion per cui tutte le notizie diffuse tramite social network, poi riprese dai principali quotidiani on line locali, sono assolutamente prive di fondamento e dal contenuto chiaramente diffamatorio. La famiglia mi ha conferito mandato di agire nelle opportune sedi giudiziarie per interrompere immediatamente la diffusione di false notizie, nonché di agire per il risarcimento dei danni materiali e morali causati al mio assistito».

La ricostruzione. Poi, l’avvocato Gianfranco Siuni fornisce la ricostruzione sul comportamento tenuto dal paziente nei giorni che hanno preceduto il ricovero, avvenuto sabato: «Al rientro dal viaggio di lavoro a Milano, effettuato nei giorni 20 e 21 febbraio, non accusava alcun sintomo ed era in perfetta salute. Alla prima comparsa della febbre, il 25 febbraio, in ossequio alle direttive imposte dal ministero della Salute, ha sempre mantenuto l’isolamento domiciliare volontario e, con il successivo aggravarsi dei sintomi, tramite la moglie, ha provveduto a contattare in numero per l’emergenza. Il giorno seguente è stato contattato telefonicamente dalla dottoressa incaricata, alla quale venivano indicati dal paziente tutti i sintomi. La conversazione terminava con ampie rassicurazioni da parte della dottoressa che ribadiva al paziente e ai suoi familiari di non preoccuparsi, in quanto a suo parere non si trattava di coronavirus. La diagnosi è stata poi confermata dal medico di base il 2 marzo». Al termine della visita domiciliare ha riscontrato «una semplice bronchite e prescritto una cura antibiotica».

Nessuna quarantena. Concluse queste prime visite il paziente «non è mai stato sottoposto ad alcuna imposizione di quarantena obbligatoria né da parte della dottoressa che, nonostante le ripetute sollecitazioni anche da parte della moglie non lo ha mai visitato, così come non ha mai incaricato altro personale medico per verificare de visu la situazione del paziente come le circostanze avrebbero imposto, né tanto meno dal medico di base, al quale il paziente si era comunque rivolto». Eppure il malato, come conferma l’avvocato Siuni, non è mai uscito di casa dal momento in cui ha accusato i primi sintomi.

Chat e social network. Il resto è tutto quello che nelle chat di tutta Oristano e su una marea di profili social ha iniziato a circolare senza che ci fosse alcuna attinenza con la verità, compreso il messaggio vocale di una dottoressa che è stato inviato alla polizia postale per l’identificazione della sua autrice. E poi c’è il post dello studio di radiologia del dottor Francesco Fiorini che accusava il sessantenne di non aver preso le precauzioni. La ricostruzione smentisce ciò: «Il paziente si è recato nello studio, lasciando la sua abitazione per il tempo strettamente necessario a eseguire la visita, forte delle rassicurazioni avute dagli altri medici». Una volta lì, «indossata la mascherina che gli veniva fornita all’ingresso, raggiunta la sala di radiologia, descriveva puntualmente e spontaneamente i suoi sintomi, senza nulla omettere, compreso il recente soggiorno a Milano», spiega ancora l’avvocato. Solo dopo un giorno sono stati effettuati gli accertamenti e infine è arrivato il ricovero, che ha dato il via anche a una sorta di caccia alle streghe. O meglio all’untore che tale non era.

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