La Nuova Sardegna

Oristano

il delitto dopo una lite in casa 

Il movente è un tradimento, ma non ci fu premeditazione

Il movente è un tradimento, ma non ci fu premeditazione

NARBOLIA. Oltre alla condanna, la sentenza si porta dietro anche quella che per i giudici è una certezza. Tra le ipotesi messe in campo dall’accusa, c’era anche quella di una premeditazione del...

03 novembre 2020
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NARBOLIA. Oltre alla condanna, la sentenza si porta dietro anche quella che per i giudici è una certezza. Tra le ipotesi messe in campo dall’accusa, c’era anche quella di una premeditazione del delitto, invece la Corte d’assise è di parere diverso. Lo si capisce nel momento in cui, alla lettura del dispositivo, fa cadere proprio questa aggravante che automaticamente elimina la possibilità di un ergastolo e porta la pena finale a 24 anni, più una serie di pene accessorie e di interdizioni per Giovanni Perria. Far cadere la premeditazione significa anche aprire la porta a un’altra delle ipotesi in campo. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che saranno pubbliche tra novanta giorni, si può già affermare che i giudici ritengono si sia trattato di un delitto d’impeto. Ciò significa che nella casa di Narbolia, il 10 ottobre 2018, ci fu un litigio. Questa tesi sarebbe suffragata anche dalla deposizione della vicina di casa, trasformatasi in testimone chiave del pubblico ministero Armando Mammone: è quest’ultima che, oltre a vedere la macchina di Giovanni Perria uscire dal cancello, ricorda di aver sentito delle grida. Solo successivamente collegherà quella discussione con quanto poi accaduto.

Il movente per la lite sarebbe quindi facilmente individuabile nel tradimento della moglie, mai accettato da Giovanni Perria che nel processo è stato anche descritto come un dominus più che come un marito. Non l’hanno dipinto così chissà quali testimoni, ma i figli che ancora oggi vivono in Germania dove i loro genitori si conobbero, a Paderborn, e iniziarono la loro relazione interrotta soltanto dalla morte di Brigitte Pazdernik due anni fa. In aula, fatto che era emerso sin dalle intercettazioni, una delle figlie ha confermato di aver subito abusi sessuali dal padre quando era ancora adolescente. Tra i tre figli e il loro genitore i rapporti sono pressoché interrotti, restano solo quelli con Rachele, che ancora ieri era al suo fianco ed è crollata sul pavimento dell’aula del palazzo di giustizia. Attende l’appello che l’avvocato Antonello Spada ha preannunciato: «Ci sono vari aspetti che le motivazioni della sentenza dovranno spiegare. C’è un’incongruenza col chilometraggio della macchina, più volte la testimone chiave cade in contraddizione e soprattutto l’accusa non è riuscita a spiegare come sia avvenuto l’omicidio visto che il medico legale dice che non c’è alcun segno di violenza o di trascinamento sul corpo della vittima». (e.carta)

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