La Nuova Sardegna

Oristano

Economia e società

Pastori kirghisi per ripopolare campagne e paesi dell'isola

di Giuseppe Centore
Cualbu con Arslan Baisopuev, capo dipartimento del ministero del lavoro della repubblica kirghisa
Cualbu con Arslan Baisopuev, capo dipartimento del ministero del lavoro della repubblica kirghisa

Accordo tra Coldiretti e governo del Kirghizistan: «Portare nell’isola 100 lavoratori e le loro famiglie»

18 settembre 2023
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Cagliari Per salvare gli allevamenti sardi, oltre a innovazione e capitale servono braccia e competenze. E se non si trovano dietro l’angolo si possono andare a cercare lontano. Anche a tredici ore d’aereo o seimila chilometri dalla Sardegna. In Kirghizistan, la repubblica ex sovietica più a est.

Coldiretti Sardegna ha chiuso un accordo con il ministero del lavoro di quel paese per avviare un progetto pilota, professionale e sociale, che prevede l’arrivo di un centinaio di kirghisi in Sardegna (età tra i 18 e i 45 anni, sposati, e non a caso) con competenze nei lavori di campagna. La missione di Coldiretti Sardegna, guidata dal presidente Battista Cualbu, con il direttore Luca Saba e alcuni amministratori locali, come il sindaco di Ovodda Ilenia Vacca e la vicepresidente del distretto rurale della Barbagia Alessandra Morette, è stata possibile per il sostegno di Fondazione di Sardegna, ed è ambiziosa, molto ambiziosa. Se andrà in porto, lo si vedrà per l’avvio nel 2024, risponderà a molteplici esigenze: lo spopolamento delle campagne, il progressivo invecchiamento degli allevatori, lo spopolamento di tanti piccoli centri. Certo, non bastano cento persone per invertire la tendenza. Ma se fossero cinquemila, qualcosa cambierebbe.

Come spesso accade, il confronto tra il mondo agricolo sardo e il Kirghizistan è nato casualmente. «Luigi Dedoni, ristoratore cagliaritano, ha conosciuto diverse persone che prevenivano da quel paese, e per motivi professionali ha avuto occasione di dialogare con esponenti di quel governo. I loro dirigenti avevano chiesto aiuto alla Sardegna, conoscendo la nostra storia nell’allevamento ovino, perchè i kirghisi non hanno diffuse competenze nella produzione di formaggio da latte di pecora. Abbiamo avviato un dialogo con loro, anche con l’aiuto di del distretto delle Barbagie capeggiato da Efisio Arbau e con il sostegno di Bastianino Piredda, tecnico caseario, ma in una prima fase eravamo fermi – precisa il direttore regionale Coldiretti Luca Saba – a uno scambio professionale».

Poi il dialogo, il confronto e la scoperta della cultura pastorale kirghisa ha acceso una lampadina nella testa dei dirigenti Coldiretti: le nostre campagne si stanno spopolando, così come i nostri paesi. L’età media dei nostri allevatori è di 55 anni. Tra dieci anni è a rischio un intero comparto, con ricadute infinite dal punto di vista economico e sociale. Come invertire la tendenza? Ospitando chi è in condizioni di lavorare nelle campagne sarde, ha le competenze e le potenzialità.

«Nelle campagne sarde il personale, qualificato o no, scarseggia. Trovare lavoratori per tempi lunghi è quasi impossibile. I romeni o gli albanesi hanno scelto lidi remunerati meglio, gli africani, per ragioni oggettive, per la loro poca dimestichezza nell’allevamento ovino, non vanno bene. Abbiamo pensato a un popolo che ha nell’allevamento delle pecore e dei cavalli uno dei tratti salienti, che conosce il nomadismo, ma che vive in piccole comunità. E siamo partiti, dopo aver istruito a tutti i livelli la pratica per il Kirghizistan». Luca Saba ha fatto parte delle delegazione sarda, composta oltre che da Vacca, Morette e Cualbu anche da Giorgio Demurtas presidente Coldiretti Cagliari, dal consulente Antonio Costeri, dall’interprete Alina e da Luigi Dedoni.

«Abbiamo visto i loro pascoli, parlato con gli allevatori, visto le loro capanne. Ne abbiamo ricavato l’impressione di un popolo delle campagne che vive in simbiosi con i loro animali, con molti punti in comune con la cultura sarda».

Ma come si è sviluppato quello che poi è diventato un vero e proprio progetto? Secondo i dirigenti Coldiretti gli errori del passato non vanno ripetuti. Pensare solo alla dimensione economica per l’inserimento di forze lavoro straniere non basta: serve un progetto di integrazione sociale, se non culturale, serve insomma che chi viene a lavorare in Sardegna si senta parte delle comunità sarda e non un alieno, sino al giorno che lascia, per sempre, l’isola.

Lavoratori nelle campagne di età compresa tra i 18 e i 45 anni, sposati, con la moglie che può fare da badante negli stessi centri dove lavorano i mariti. Detto così sembra l’uovo di Colombo, ma in soldoni è quello che Coldiretti ha proposto al capo dipartimento del centro per l’impiego del ministero del lavoro kirghiso Arslan Baidopuev.

Un progetto a medio-lungo termine, per rispondere al calo delle nascite, allo spopolamento e all’abbandono delle case nei piccoli centri, con l’assunzione di kirghisi in Sardegna. Per adesso un centinaio, in futuro molte migliaia, a seconda della domanda. Il progetto pilota prevede interventi in tre aree di altrettanti distretti rurali: Sassari, Barbagie e Sarrabus.

Serviranno tempo, pazienza e mediatori culturali, perchè due culture così diverse, anche se con tratti simili, non possono entrare in sintonia dall’oggi al domani. Serve naturalmente l’impegno delle istituzioni, Regione in primo luogo.

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