Lo studioso: «Le tombe dei giudici d’Arborea sono sotto la cattedrale»
Raffaele Cau lancia un’ipotesi sulla collocazione delle sepolture dei regnanti: ecco dove potrebbero essere e perché
Oristano «Le tombe medioevali dei giudici e dei vescovi arborensi potrebbero trovarsi ancora integre tre metri al di sotto del piano di calpestio dell’attuale Cattedrale di Oristano, ricoperte da una grande coltre di terra e macerie». L’ipotesi suggestiva, supportata e avvalorata da accurati studi d’archivio e su fonti bibliografiche e storiche, è stata formulata dallo studioso Raffaele Cau che ribalta il titolo del famoso romanzo e film Io e te Tre metri sopra il cielo. Lo studioso l’ha esposta durante al museo diocesano arborense nella conferenza “I luoghi di sepoltura della città di Oristano dall’epoca romana al XX secolo”. «La Cattedrale di Oristano – racconta Raffaele Cau, originario di Ovodda, da tempo residente a Palmas Arborea – è citata per la prima volta nel 1131, e in origine aveva sicuramente un’architettura romanica, come si evince dalle numerose colonne romane di spoglio, in tutto ben diciannove». La chiesa di Santa Maria subì tuttavia due importanti mutazioni. «Fra il 1300 e il 1400 fu modificata in forme gotiche. Di questa fase sopravvivono oggi la cappella del battistero, la cappella del Santissimo Sacramento, detta anche del Rimedio, e la parte inferiore del campanile».
Le variazioni più importanti furono però apportate nel XVIII secolo. «L’antica cattedrale si estendeva verso le pertinenze dell’attuale Museo diocesano e del Seminario arcivescovile. Fu quasi totalmente ricostruita in forme barocche tra il 1729 e il 1745 – sottolinea Cau, esperto genealogista e ricercatore storico e artistico –. La ricostruzione ha comportato il sollevamento del livello della chiesa di un paio di metri. Perciò le tombe medioevali dei giudici e dei vescovi arborensi potrebbero essere ancora integre sotto una grande coltre di terra e macerie». Nella sua accurata ricerca ha trovato anche ulteriori indizi che avvalorano la sua tesi: «Nel 1987, durante i lavori di rifacimento di piazza Cattedrale, emersero importanti testimonianze di epoca vandala e bizantina e nel successivo scavo archeologico, eseguito dall’archeologo Salvatore Sebis, venne individuata una necropoli con tre tombe a cassone litico e due a fossa terragna, databili tra il VI e il VII secolo dopo Cristo». Prosegue Cau: «Oggi nel Duomo non rimane praticamente traccia delle tombe degli arcivescovi, dei giudici e delle giudicesse d’Arborea, che si avvicendarono per quattro secoli durante il medioevo. Tuttavia è noto, grazie al testamento del giudice Ugone II de Bas-Serra del 4 aprile del 1336, che la Cappella di San Bartolomeo era il luogo di sepoltura consueto dei membri della sua famiglia».
Ma dov’era questa cappella, oggi non più esistente? «Si trovava orientativamente tra l’attuale battistero e la cappellina del Santissimo Crocifisso. Nominata fino alla prima metà del ’600, se ne perdono definitivamente le tracce dopo la ricostruzione della cattedrale tra il 1729 e il 1745». Ancora più dettagliate sono le notizie sulle sepolture degli arcivescovi. «All’interno e all’esterno della cattedrale si seppellirono i defunti ininterrottamente dal Medioevo fino alla seconda metà dell’800. Luogo di sepoltura privilegiato era il presbiterio, dotato di un ambiente sottostante diviso in due zone di sepoltura, quella di sinistra, cornu evangelii, destinata alla sepoltura degli arcivescovi, e quella di destra, cornu epistolae, destinata ai canonici e ai beneficiati dove si seppellì fino al 1866 – racconta Cau –. A questo sepolcro sotterraneo si accede attraverso tre botole marmoree e una gradinata sotterranea». Lo studioso ha individuato con precisione la lastra di accesso e alcuni degli arcivescovi che vi furono sepolti: «Furono certamente inumati nella cripta dell’altare maggiore Antonio Romano Malingri (1776), Giovanni Maria Azzei (1821), Giovanni Maria Bua (1840) e Giovanni Saba (1860)». Ora la palla passa agli archeologi. «Solo uno scavo – conclude Cau – potrà dare risposte più concrete ai tanti quesiti oggi esistenti».