La Nuova Sardegna

Allarme radioattività

Le scorie erano dirette a PortovesmeBrescia, sigilli alla fabbrica contaminata

Piero Mannironi
Rifiuti speciali
Rifiuti speciali

Il carico col Cesio 137 diretto a Portovesme era uscito dalle Acciaierie Venete di Sarezzo. L’allarme è scattato in una discarica vicino a Bergamo

20 ottobre 2007
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E' stato il portale radiometrico di una discarica per rifiuti speciali a Ponte Nossa, vicino a Bergamo, ad aprire uno squarcio su una tragedia sfiorata. La scoperta di materiali contaminati dal Cesio 137 ha messo subito in moto i protocolli di sicurezza, attivando così l'Arpa, l'Asl e i carabinieri del Noe di Brescia. Facile risalire alla provenienza del carico radioattivo: le Acciaierie Venete (ex Lucchini) a Sarezzo. Il procuratore della Repubblica Giacarlo Tarquini ha aperto subito un fascicolo, affidando le indagini al pm Paolo Abbritti. Il sostituto ha inviato allora gli 007 del Nita (il Nucleo investigativo territoriale ambientale) e i carabinieri del Noe che hanno controllato minuziosamente gli impianti con i rilevatori di radioattività.

E qui la conferma, drammatica: i contatori geiger hanno segnalato più di una volta il superamento del limite massimo stabilito dalla legge dei 500 bequerel per metro cubo. Nei forni e nell'impianto di abbattimento dei fumi, la prova definitiva: tracce evidenti di Cesio 137. A quel punto, la richiesta di verificare se altri carichi simili siano partiti in questi giorni dalla fabbrica. Si è così risaliti al Tir che, al porto di Geneva, attendeva di essere imbarcato per la Sardegna, con destinazione Portoscuso. A quel punto è stato intimato all'autista, Alessandro Frau, di ritornare indietro perché il carico nel container era contaminato dal Cesio 137. Frau, spaventato, è corso al pronto soccorso dell'ospedale Galliera per sottoporsi a dei controlli sanitari. In questo modo, la notizia ha tracimato dai confini bresciani. Si è così saputo che il sostituto procuratore Abbritti aveva disposto il sequestro degli impianti di Sarezzo e l'azienda aveva deciso di mettere in cassa integrazione speciale i 267 lavoratori dell'acciaieria. Ma, con un effetto domino, ora si teme anche la chiusura del laminatoio aziendale di Mura che riceve il prodotto semilavorato e occupa altri 137 dipendenti.

«Per prima cosa chiediamo visite accurate per tutti i lavoratori - dicono i sindacati - e poi vogliamo sapere cosa è realmente accaduto e di chi sono le responsabilità». La domanda è infatti oggi: cosa è successo? Da dove arrivava quel Cesio 137? E poi, perché non è stato rilevato dal portale radiometrico della fabbrica? Qualcuno aveva forse schermato il Cesio con del piombo? In ogni caso è la drammatica conferma che non è difficile superare i controlli e introdurre materiali radioattivi nelle fonderie. In procura c'è la consegna del silenzio e per adesso le risposte a queste domande restano sospese. L'unica notizia che filtra è che gli accertamenti dell'Arpa avrebbero escluso una contaminazione all'esterno della fabbrica, acquistata nel 2004 dal gruppo padovano della famiglia Banzato. Anche i laminati e i panetti ottenuti con la fusione sono risultati “puliti”.

Nel Bresciano la tensione è alta. Sono infatti riaffiorati nella memoria gli incidenti degli anni passati. Come quello all'Alfa Acciai di San Polo, nel 1997, quando la fusione di sorgenti di Cobalto 60 e di Cesio 137 danneggiò gli impianti e tenne tutta la zona con il fiato sospeso per paura di una contaminazione. L'inchiesta accertò che quei rottami ferrosi arrivavano dalla Cecoslovacchia. Un caso analogo si verificò, sempre nel Bresciano, alla Capra Metalli di Catelmella. E quella volta si parlò di rottami di provenienza polacca.

Piccole potenziali Chernobyl dietro le quali, spesso, la “fame” di rottami da parte delle acciaierie attiva traffici di ambienti a dir poco spregiudicati, se non addirittura di gruppi mafiosi. Le indagini su quello che è considerato finora il più grave incidente verificatosi in un'acciaieria italiana, quello alla Beltrame di Vicenza il 13 gennaio del 2004, dimostraromo che erano finiti in una delle fornaci alcuni bidoni di Cesio 137 prodotti dalla società statunitense Ohmart corporation di Cincinnati, nascosti in un carico di rottami di ferro spedito dalla Italrecuperi di Pozzuoli.

Il magistrato vicentino Vartan Giacomelli accertò che la Ohmart aveva venduto il carico di Cesio 137 nel 1990 e scoprì poi, in un cantiere del Napoletano, un altro carico di Cesio 137. Resta ancora irrisolto il giallo di chi e perché gestì quelle scorie radioattive. Il sospetto, forte, della magistratura e degli investigatori del Noe porta ad alcuni ambienti camorristici. A questo punto è importante accertare se nell'imponente flusso di rottami ferrosi verso Portoscuso ci siano stati o ci siano scorie radioattive. Come dimostra l'incidente di Brescia, i portali radiologici possono essere ingannati.

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