La Nuova Sardegna

Stanis Manca, il gigante biondo amore impossibile di Grazia Deledda

Manlio Brigaglia
Un ritratto di Grazia Deledda
Un ritratto di Grazia Deledda

Feltrinelli ha pubblicato "Amore lontano", un volume in cui è raccolta la corrispondenza tra il premio Nobel nuorese e il giornalista Stanis Manca, alla fine dell'Ottocento. Sono state raccolte più di quaranta lettere. Per lei giovinetta un sentimento trascinante, mentre lui scriveva: "Ma è quasi una nana"

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«Sono un'umile fanciulla di diciottanni molto ignorantella, molto, si assicuri, e se riesco a fare qualcosa è per amore della nostra cara e povera Sardegna, unico, primo, ultimo ideale della mia mente e del mio cuore».L'8 maggio 1891 Grazia Deledda ha quasi vent'anni, ma si ringiovanisce un po' (come le piacerà di fare molte altre volte). Risponde a Stanis Manca, sassarese dei Manca duchi dell'Asinara: è un poco più «vecchio» di lei, ma è già il brillante (e autorevole e temuto) critico teatrale della romana «Tribuna».

Le ha chiesto un articolo per il popolare supplemento del milanese «Il Secolo», che s'intitola «Le cento città d'Italia». La Deledda scrive per lui un breve, scanzonato ritratto di Nuoro, «capoluogo del Logudoro»: presto si ravvederà, riconoscerà a Sassari quel titolo. Quando Manca le scrive per ringraziarla del simpatico «pezzo», paragonandola a una «piccola George Sand», Grazia si schermisce, ma nasce un'amicizia che durerà a lungo.

Nel settembre successivo Stanis Manca arriva a Nuoro: lui è un aristocratico alto, grasso, biondo, «degli occhi tigreschi», lei è una ragazzina, lui dice - con una scortesia che non si capisce, ma corre lungo tutta la loro corrispondenza, con bruschi salti d'umore - «quasi una nana».

In verità, più che una amicizia quello di Grazia è amore, vertiginoso e spesso disperato. Per un anno e mezzo lei finge solo amicizia: lo confesserà, quasi lo griderà, soltanto due anni dopo, nell'agosto del 1892. L'amicizia si interromperà, Manca scriverà un biglietto di pace soltanto alla fine del 1899, poche settimane prima che Grazia sposi Palmiro Madesani («L'uomo che mi darà il suo nome è giovine, bello, intelligentissimo ma soprattutto è buono e mi ama per me, cosa che finora non m'era accaduta, e che mi decide a sposarlo»). Ma Stanis le resterà per sempre nel cuore.

La storia di questo «Amore lontano» (così è intitolato il libro, edito da Feltrinelli, 208 pagine, 14 euro e 50) è ricostruita da Anna Folli, italianista all'Università di Ferrara, che ha alle spalle la cura delle carte di altri tre scrittori famosi, i taccuini di Sibilla Aleramo e il carteggio fra Giosuè Carducci e Annie Vivanti. Il libro ha al centro 41 lettere della Deledda a Manca, provenienti in parte dal fondo autografi della Biblioteca Universitaria di Cagliari e in parte dagli autografi del Fondo Stanis Manca.

Lettere in gran parte edite, ma che la Folli ordina nella loro sequenza cronologica, integrando i due gruppi e intervenendo anche a restituirci l'originale là dove il fratello di Stanis, Antonio, aveva fatto più d'una correzione, pubblicandole nel 1936, alla morte di Grazia, a venti anni dalla morte di Stanis. La pubblicazione avviene in concomitanza con l'uscita della prima puntata della quasi-autobiografia che la Deledda ha lasciato morendo (pare che in famiglia nessuno ne sapesse nulla, il figlio Santus ha trovato il testo conservato in un cassetto dopo la sua morte) e che il curatore Antonio Baldini intitola appunto, per le prime due puntate che appaiono sulla «Nuova Antologia», «Cosima, quasi Grazia».

Delle 41 lettere, le prime 21, scritte da Grassiedda fra quel maggio del 1891 e l'agosto del 1892, hanno al centro un rapporto d'amicizia, che sembra legare la Deledda a Manca soprattutto per le opportunità che Manca, così profondamente inserito nell'ambiente giornalistico romano (soprattutto l'ambiente delle riviste, che vivono di novelle e racconti, di cui la Deledda è diventata grande produttrice), le può offrire.

Grazia si confessa a lui con totale sincerità. Gli parla dei suoi progetti letterari, dà giudizi di libri e articoli, elenca i libri che legge (tanti e di disparate discipline, anche Ausonio Franchi e Kant), racconta le brevi esperienze di villaggio che le sono permesse: una giornata a Sassari «in incognito come una principessa», otto giorni ai bagni caldi di Benetutti («un luogo orribile, desolato, sconfortante», almeno a Lodine «c'è uno stabilimento privato, dove si può alloggiare alloggiare in una casa vera e non in capanno di legno fitto di gente»).

Descrive i paesaggi che vede attraverso la finestra mentre siede a quel tavolino che sembra il suo luogo preferito: «Mangio, dormo e scrivo». Proclama la sua sete di Amore e di Gloria, parole che scrive sempre con l'iniziale maiuscola: a volte, anche a distanza di poche righe, quell'«Amore» diventa «Arte», e si capisce che per la Deledda fanno un tutt'uno, per quanto precari profili di innamorati o di pretendenti si leggano qua e là.

Da Andrea Pirodda, professore aggese che fu il più importante di questi suoi fidanzati («giovane, bellissimo e distintissimo», ma troppo povero), a un Giuseppe Maria Lupini che ha musicato una romanza, «Cosima», che le dedica, a un Nicola Maria Campolieri, «tenente abruzzese del reggimento or ora partito dalla Sardegna: ricco, di grande famiglia, ma io non lo voglio».

Il suo sogno è di poter fare qualcosa «per la nostra amata terra», portare «qualche aiuto» ai sardi: un ideale regional-patriottico, che accompagna sempre i suoi sogni di grandezza letteraria - che ormai si stanno avverando, prima della fine del secolo Grazia starà a pieno titolo nel Gotha degli scrittori italiani più letti - e il suo desiderio non solo d'amore ma proprio di matrimonio: soltanto un marito potrà strapparla alla «noja» della vita paesana che minaccia la sua stessa ispirazione.

Ma questo «amore lontano» matura rapidamente Grazia. Nelle lettere - «strane», come le chiama - cresce anche la scrittrice: «Vedete come ora scrivo meglio?», chiede a Manca alla vigilia della rottura. Di tutte le opere di quel decennio finale dell'Ottocento, forse la più matura è proprio questo mazzetto di lettere in cui Grazia indaga i segreti labirinti del suo cuore, magari inventandone anche molti, in una parola raccontando la storia di una donna che per caso è lei stessa.

La Grazia di queste lettere è forse un personaggio di fantasia più di quanto non sia lei, la ragazza di Nuoro, dai capelli precocemente incanutii per amore. Una straordinaria «prova d'artista» che prepara la grandezza che viene.
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