La Nuova Sardegna

Ecco perchè Pinocchio riesce a incantare i bambini del mondo

Ecco perchè Pinocchio riesce a incantare i bambini del mondo

04 aprile 2011
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Dialogo su Pinocchio con lo scrittore Salvatore Mannuzzu di Franco Enna  Enna - "Le avventure di Pinocchio" è una di quelle storie universali che hanno influenzato l'immaginario collettivo di molte generazioni di lettori in tutto il mondo. Secondo le cronache, invece, il buon Carlo Lorenzini voleva soltanto scrivere «una bambinata», con la speranza che gliela pagassero bene. Poi, quando si accorse che forse non ne valeva la pena, decise di chiudere tutto drasticamente, facendo addirittura impiccare il suo personaggio alla quindicesima puntata.  Ma le proteste degli stessi bambini lettori lo richiamarono in servizio e, da quel momento in poi, al povero burattino ne capitarono letteralmente di tutti i colori. Ma quanto entra, allora, la "casualità" nel concepimento di un'opera d'arte?  Mannuzzu - «E' difficile stabilirlo con certezza, perché i capolavori nati quasi per caso sono davvero molti. Uno per tutti: "Don Chisciotte della Mancia" è stato scritto nello stesso modo. Cervantes voleva scrivere un racconto breve e riteneva che si dovesse concludere alla prima osteria. La realtà è che sono poi i personaggi della storia a prender la mano all'autore. C'è sempre una sfasatura tra le intenzioni dell'autore e i risultati. Questa sfasatura spesso si realizza talvolta a perdere e talvolta invece a guadagnare, come nel caso di Pinocchio. Comunque il risultato non è mai quello che si vuole, perché se l'opera è morta, allora il risultato può essere di qualunque tipo. Ma quando il risultato e positivo, allora accade come per Pinocchio, il quale, nel momento stesso in cui Geppetto finisce di costruirlo, strappa allegramente di testa la parrucca al suo creatore e scappa a correre liberamente per il mondo. Qualsiasi opera letteraria riuscita è come questo Pinocchio».  Enna - Nella storia infinita di questo capolavoro, ci sono anche diverse "appropriazioni indebite", attraverso cui il famoso burattino diventò addirittura il simbolo di situazioni ideologiche contrastanti. Negli anni Trenta, in Russia, qualcuno lo trasformò nel "Compagno Pinocchio"; mentre negli anni della "Primavera di Praga", diventò l'alter ego di Dubcek. Dal canto suo, Disney, nel suo celebre film a cartoni animati, lo trasformò in uno che insegue il grande sogno americano. Come mai, opere nate solo per deliziare i bambini, diventano col tempo delle metafore umane da utilizzare anche in chiave sociale, se non addirittura ideologica?  Mannuzzu - «Non conoscevo la versione del Pinocchio "comunista", né tantomeno quella cecoslovacca.. Mentre la trasformazione di Disney la ricordo benissimo, e posso dire che non mi ha mai soddisfatto totalmente. Credo anzi di averla vissuta con un certo rancore. Comunque, secondo me, questi personaggi si prestano a diverse interpretazioni perché, a modo loro, sono degli organismi viventi, che vivono per conto proprio. Pinocchio non è più di Collodi. Questi personaggi letterari, che si staccano dall'autore, hanno una straordinaria ambiguità, e quindi possono essere letti in vario modo. Però è solo così che diventano compagni della nostra vita».  Enna - Alla fine, Pinocchio diventa un bambino in carne ed ossa. Per la pedagogia del suo tempo, questo tipo di trasformazione diventa un evento necessario, perché sappiamo bene che il passaggio dall'età infantile ad una fase successiva di crescita è indispensabile e naturale. Ma tu, da scrittore, il burattino Pinocchio l'avresti mai trasformato in un bambino in carne ed ossa?  Mannuzzu - «Il fatto è che la trasformazione è un momento molto malinconico rispetto a tutto il racconto. Io l'avverto, questa malinconia adesso, da adulto, e quindi la capisco tutta, perché riesco a darle anch'io il senso di una crescita necessaria, perché nella vita reale succede proprio così. Ma ricordo che questo lieto fine, nella mia prima lettura, non mi lasciava del tutto soddisfatto, perché ci vedevo una sorta di violenza in questo "happy end": anzi, più che di violenza, di perdita profonda. Quel bambino in carne e ossa mi piaceva meno dell'altro. Per me, come per i miei coetanei di allora, fu davvero una gran perdita. Però se assumiamo una valutazione di tipo critico, dobbiamo riconoscere che il burattino è molto più vivo del bambino in carne ed ossa. Il burattino è un gran personaggio, mentre il bambino non fa in tempo ad esserlo, proprio per via della sua normalità».  Enna - Pinocchio è un burattino e, dunque, un giocattolo. Secondo alcuni critici, potrebbe essere questa una delle chiavi del suo successo presso il pubblico infantile. Com'era, da bambino, il tuo rapporto con il teatrino dei burattini e delle marionette? Anche il personaggio di un tuo bellissimo libro per l'infanzia, "Il famoso Natalino", sembra amare molto questo tipo di gioco.  Mannuzzu - «Il teatrino delle marionette è stato uno degli strumenti della mia formazione. Anzi, i teatrini: perché ne ho avuto più di uno.  Credo che il primo mi sia stato regalato quando avevo pochi anni: e presto sono passato dal ruolo di spettatore a quello di autore. Muovevo io le marionette, ne simulavo le voci, facevo impersonare a esse vicende che mi inventavo. Per spiegarti la cosa ti trascrivo qui di seguito l'inizio d'una mia lunga intervista, comparsa nel libro di Maria Teresa Serafini, "Come si scrive un romanzo", Bompiani, 1996. Di me parlo in terza persona. «Anche l'inizio è poco originale. A quattro anni gli viene regalato il primo teatrino di marionette (cui poi seguiranno altri, più impegnativi). Ed è il ricordo di quelle antiche dorature ad agire come una madeleine specifica: evocando una soglia mai sorpassata, qualcosa di cui esiste solo un'idea vaga e lancinante. Può darsi succeda così dei vizi, chi ne ha la vocazione e riesce a radicarli. Allora il teatrino veniva tenuto sul pavimento di graniglia d'una immensa stanza di paese, destinata ai giochi; e nella memoria ciò che più emoziona forse sono i chiodi piantati nel muro dietro al palco, in fatale ordine: destinati a reggere le marionette, appese ai loro fili. Sì, era quella costellazione di piccoli chiodi, infissi a deturpare un tratto di parete, e in genere erano i preparativi ciò che davvero importava: le circostanze o liturgie di contorno: i retroscena; involucro che era sostanza: la sostanza. Nello stesso modo, leggere o solo sfogliare Pinocchio, guardarne le illustrazioni in un libro appartenuto a un impossibile chissà chi d'una precedente generazione, significava soprattutto avvicinarsi alla zona Mangiafuoco»...
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