La Nuova Sardegna

L'accusa: «Condanna anche per Grauso»

L'accusa: «Condanna anche per Grauso»

Al processo Arbatax 2000 il pg Cicalò chiede 4 anni: «Era il dominus dell'operazione»

24 maggio 2011
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 CAGLIARI. La società editoriale dell'Unione Sarda - con la proprietà dell'epoca, che non ha niente a che vedere con l'attuale - mise a segno un piano tanto abile quanto fraudolento con la sua partecipazione ad Arbatax 2000, la società che doveva rilanciare la cartiera: l'ha sostenuto il pg Valerio Cicalò, che a conclusione della requisitoria ha chiesto alla Corte d'Appello presieduta da Grazia Corradini la condanna per vari reati di bancarotta di tutte le 7 persone coinvolte nel procedimento, delle quali in primo grado venne condannato solo Antonangelo Liori a quattro anni e mezzo di reclusione.  Queste le richieste: sette anni e mezzo per Liori, quattro e mezzo per Claudio Marcello Massa, quattro per Nicola Grauso, tre anni per Andreano Madeddu, Michele Dore, Alfredo Boletti e Fabrizio Rotriquenz. C'è anche una richiesta di non doversi procedere per Benvenuto Brambilla, che sarebbe deceduto. Agli atti del processo manca però la certificazione della morte, quindi è molto probabile che la sua posizione venga stralciata. Durissimo l'intervento di Cicalò su una vicenda che alla fine degli anni Novanta sollevò un'ondata di polemiche e finì per intrecciarsi con quella legata alla liberazione di Silvia Melis, tra risvolti politici e smanie di protagonismo: protagonisti e poi imputati Liori e Grauso, rispettivamente direttore ed editore dell'Unione Sarda, che amministrarono in coppia la società Arbatax 2000 con l'obbiettivo dichiarato di rilanciare la produzione di carta nella fabbrica ogliastrina. Progetto che mostrò subito i suoi limiti e che naufragò rapidamente con perdite accertate dai curatori per 24 miliardi di lire già a maggio del 1996.  Secondo l'accusa avanzata a suo tempo - e confermata ieri dalla Procura generale - quando l'operazione di salvataggio era ormai sfumata Liori e Grauso, con l'azienda che affondava nei debiti, si preoccuparono soltanto di recuperare l'investimento iniziale, trasferendo le scorte di carta per giornali dai magazzini di Arbatax a quelli dell'Unione Sarda. Arbatax 2000 era finanziariamente decotta e loro la spogliavano dell'unico valore rimasto a disposizione dei creditori, rimasti i soli a pagare il prezzo di un'avventura senza senso. Qui - per l'accusa - sta la prima bancarotta preferenziale, imputazione rimasta in piedi a distanza di quasi quindici anni dai fatti. E' possibile che anche questo reato, come numerosi altri contestati al capo d'imputazione del primo grado, risultino prescritti. Ma Cicalò - così come la parte civile, patrocinata da Luca Pirastu - punta a una dichiarazione di colpevolezza di altri imputati, oltre Liori, per garantire almeno i risarcimenti ai numerosi fornitori rimasti in panne: le statuizioni civili infatti sopravvivono alla prescrizione.  Nel suo intervento il pg Cicalò ha passato in rassegna quelle vecchie vicende mettendo l'accento, senza perifrasi, sulle carenze della sentenza di primo grado, il 25 febbraio del 2005: «Appare sorprendente - ha detto il magistrato - che il tribunale (di Lanusei, ndr) consideri come normale operazione commerciale quella che in presenza di uno stato di decozione risalente già al maggio 2006, come ammesso dalla stessa sentenza, si presentava invece come un greve e deliberato vulnus in danno dei creditori». Operazione che - ha ribadito Cicalò - non fu certo la sola: Liori a ottobre del 1996 e Madeddu con Dore e Boletti tra febbraio e maggio del 1997 trasferirono crediti verso l'erario e verso banche alle quali l'Unione Sarda aveva rilasciato fidejussioni: «L'intento chiaro - ha sostenuto il pg - era di favorire l'azienda editoriale liberandola dai vincoli, in danno dei creditori». Ancora Cicalò ha fatto riferimento ai canoni d'affitto, a fatture e contabilità artefatte, a fatture per operazioni inesistenti. Con Grauso nelle vesti del grande burattinaio: «Le vicende dimostrano - ha detto Cicalò - che Grauso è stato sempre il dominus ed ha voluto mantenere saldo il controllo e la direzione di Arbatax 2000, servendosi inizialmente di Liori. Quando il direttore del giornale esce in seguito a una misura interdittiva, Grauso inserisce nel consiglio di amministrazione altre due persone di sua fiducia, Madeddu e Dore, e poi Luisella Garau». Quindi Grauso non è estraneo agli imbrogli organizzati da Liori, ma per l'accusa è l'ispiratore di tutte le decisioni. Decisioni che puntano - stando alla parte civile - a non impantanare l'Unione Sarda nella palude finanziaria in cui loro stessi hanno condotto, con un'amministrazione disastrosa, la società della cartiera. Sulla stessa linea l'intervento del legale di parte civile Luca Pirastu («tutte le operazioni si sono sempre svolte sotto il controllo di Grauso, comprese le scelte strategiche e le attività illecite») mentre il difensore dell'imprenditore cagliaritano Alessandro Diddi ha sostenuto come Grauso abbia agito costantemente in buona fede e che non sia mai entrato nelle decisioni.  Il processo va avanti il 27 maggio con la difesa.

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