La Nuova Sardegna

Gavino Ledda: "Ogni mese devo dimostrare di esser vivo"

Pier Giorgio Pinna
Lo scrittore Gavino Ledda è nato a Siligo il 30 dicembre del 1938
Lo scrittore Gavino Ledda è nato a Siligo il 30 dicembre del 1938

Per continuare a ritirare l'assegno della legge Bacchelli, un certificato «di esistenza in vita» ogni trenta giorni

29 maggio 2011
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SILIGO. «Avessi avuto soldi, avrei scritto dall'oltretomba: "Sono morto"». Gavino Ledda è fuori di sé: se vuole continuare a ricevere il vitalizio della legge Bacchelli, dovrà provare ogni mese di godere buona salute. Per l'esattezza, l'autore di Padre padrone sarà obbligato a inviare in prefettura un certificato «di esistenza in vita». E come lui dovranno fare gli altri ammessi al riconoscimento.

Si parla di persone che «si sono distinte nel mondo della cultura dando lustro alla nazione».

«È assurdo, terribile, ma, carte alla mano, è quello che mi chiedono», commenta lo scrittore di Siligo. «Non ce l'ho con lo Stato: questa non è l'Italia che conosco - prosegue Gaìnu, la voce rotta dall'emozione mista a rabbia - Ma accuso una burocrazia cieca, ottocentesca, indegna di un paese civile: pur di risparmiare, contando magari su qualche dimenticanza, non si esita ad augurare la morte con metodi come questi».

In effetti il provvedimento, che deriva dalla presidenza del consiglio dei ministri e che la prefettura di Sassari si sta incaricando di eseguire, ha tutta l'aria d'inserirsi nel filone delle rigidità acefale assunte dalla pubblica amministrazione a carico delle fasce sociali più deboli.
Come quelle, per esempio, che nel caso delle pensioni d'invalidità o di accompagnamento e del passaggio delle competenze dalle Asl all'Inps allungano i tempi a dismisura, magari con la speranza recondita da parte di qualcuno che, nelle more di questi passaggi estenuanti da un ufficio a un altro, gli interessati passino rapidamente a miglior vita.

Nella lettera inviata dalla prefettura all'autore di Padre padrone c'è poi un particolare che non poteva non colpire Gavino Ledda. È la data: il 5 maggio. «Il giorno della morte di Napoleone, ricordato dal Manzoni nella celebre poesia - spiega - Ma io in questa situazione l'Ei fu lo indirizzo verso qualcuno diverso da me. Anzi, oggi che ho poco più di 70 anni, mi aspetto di arrivare sino a 99, come mio padre Abramo: almeno non darò a nessuno la soddisfazione di sottrarmi ciò che percepisco dal 2000 e che ho sempre considerato un premio per il mio lavoro».

«Come le altre persone che hanno dato lustro all'Italia, e che magari oggi dovranno andare da qualche parte in sedia a rotelle per dimostrare di non essere ancora morti, io per l'arte ho rinunciato a tutto - incalza, inarrestabile come un fiume in piena, Gaìnu - Ho rinunciato alla carriera universitaria, a una normale esistenza fatta anche di remunerazioni economiche, pur di continuare il mio lavoro. E continuerò a scrivere come ho sempre fatto, nonostante quest'atto che considero un'umiliazione intollerabile». Soprattutto se si considera la sua storia: da analfabeta a scrittore e glottologo.

Alla luce del suo percorso esistenziale, Ledda reputa così particolarmente ingiusto il trattamento degli ultimi giorni. A dargli la notizia scritta delle nuove procedure (prima il vitalizio veniva assegnato in anticipo con rate di quattro mesi alla volta) è stato il capo di gabinetto, viceprefetto Mancaleoni, su incarico degli uffici della presidenza del Consiglio: «Ai fini della liquidazione la Signoria Vostra dovrà trasmettere a questa prefettura, con cadenza mensile, il certificato di esistenza in vita, con l'avvertenza che in caso di mancata trasmissione la presidenza del consiglio dei ministri non emetterà il previsto assegno». Finale: «Si resta in attesa di urgente risposta». Neppure un distinti saluti. E, per fortuna, neanche qualche forma di augurio.

«Voglio comunque rassicurare tutti: sono vivo, abbastanza sano e quando morirò lo si saprà per certo in giro - è la caustica considerazione dello scrittore - O forse lo Stato non si fida delle amministrazioni locali? Non sarà il Comune di Siligo a trasmettere il mio certificato di morte quando verrà il momento?».

Poi ritorna serio. Ricorda come un metodo amministrativo del genere non tenga in alcuna considerazione i viaggi fuori dalla propria terra né, più in generale, delle possibili difficoltà di persone spesso malate o cariche di problemi. E lancia l'ultimo avviso a Roma: «Questa è una procedura inammissabile persino in uno Stato dittatoriale. Figuriamoci in Italia. Lo ammetto: aprendo la busta che l'annunciava e leggendo la lettera protocollata, ci sono rimasto davvero male. Di questo passo, immagino il peggio: quand'è che si affretteranno a chiedere qualcosa di simile a tutti i pensionati? No... davvero non ho altre parole da spendere. Più ci rifletto è più mi pare una cosa inammissibile: come si può vivere facendo il conto della morte?».

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