La Nuova Sardegna

Già nel 2009 il governo voleva mettere le mani sull'arsenale di Zhukov

Già nel 2009 il governo voleva mettere le mani sull'arsenale di Zhukov

21 luglio 2011
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 LA MADDALENA. La destinazione finale delle armi partite dal bunker di Santo Stefano resta per ora "top secret". Il segreto di Stato, con il quale la Marina ha risposto alle domande del sostituto procuratore della Repubblica di Tempio Riccardo Rossi, nasconde per ora una verità sicuramente scomoda. Un qualcosa di inconfessabile. L'ipotesi più probabile è comunque che il colossale arsenale sequestrato al magnate russo Alexander Zhukov sia finito in Libia.  Probabilmente in Cirenaica, per armare il movimento anti-Gheddafi. Un segreto di Stato che comunque appare come l'imbarazzante ammissione che quel trasporto faceva parte di un'operazione "coperta", fuori dai canali diplomatici ufficiali. La reazione neutra della Nato fa intendere poi che i vertici dell'Alleanza atlantica erano a conoscenza del trasporto e, molto probabilmente, lo appoggiavano.  Ma quel segreto di Stato non può nascondere due elementi politicamente rilevanti. Il primo è che tutto è stato organizzato in un modo un po' sgangherato (forse per risparmiare) e approssimativo, ma soprattutto con una sconcertante sottovalutazione dei rischi per l'incolumità pubblica.  E poi c'è l'incredibile scivolone di invocare un decreto mai trasformato in legge e, quindi, decaduto. Quello cioè che, nel 2009, consentiva al governo di incamerare armi e munizioni sottoposte al sequestro giudiziario. Semplice ragionamento: in Italia l'unico arsenale di una certa entità al quale poteva essere estesa questa norma era quello sequestrato a Zhukov e ai suoi soci in affari nel marzo del 1994 e stoccato nelle gallerie blindate di Santo Stefano.  Allora è del tutto evidente che già due anni fa il governo pensava di mettere le mani su quelle armi e quelle munizioni. Il conflitto in Libia non era previsto e non era prevedibile. E quindi è logico chiedersi per quale motivo venne emesso quel decreto che poi si è arenato tra i ministeri. A cosa doveva servire quell'arsenale, a chi lo si voleva offrire?  Questo è un punto ancora tutto da chiarire. Perché se oggi viene logico pensare a una spedizione di armi in Cirenaica, allora una soluzione simile non era neppure pensabile. E se invece della Libia quei missili e quei fucili mitragliatori hanno preso un'altra strada? Per esempio, quella che si era pensato di seguire originariamente? In questo giallo niente è scontato.  È invece evidente che, in assenza della conversione di quel decreto in legge, il governo si è impossessato in modo giuridicamente discutibile delle armi di Zhukov. Proprio da qui, probabilemente, ha origine la contestazione del reato di peculato da parte della procura della Repubblica di Tempio.  Detto questo, il "niet" di Palazzo Chigi alla richiesta di chiarimenti del sostituto procuratore Rossi non può nascondere, al di là di eventuali ipotesi di reato, l'approssimazione e la superficialità delle autorità militari. Hanno ragione i parlamentari del centrosinistra che in questi giorni, criticando sostanza e dinamiche dell'«operazione Zhukov», hanno rilanciato la questione delle servitù militari in Sardegna. Nodo politico mai sciolto e, anzi, messo fuori dall'agenda politica del governo nazionale e di quello regionale.  Ora la questione irrisolta delle servitù sta nuovamente lievitando, sulla spinta di due inchieste giudiziarie. La prima, appunto, quella di Tempio. L'altra sulle attività del poligono interforze del Salto di Quirra.  Un'inchiesta, quest'ultima, che ha resuscitato dubbi e sospetti, pericoli e paure, e che si è maledettamente complicata con la reazione dei pastori che si ribellano allo sgombero forzato dall'area militare ordinato dalla procura della Repubblica di Lanusei.  Di più: nel poligono di Teulada, dove a febbraio l'Agusta Westland ha testato uno dei suoi gioielli (l'elicottero da combattimento Mangusta), per l'esercito iraniano, si è ripreso a sparare, nonostante il parere contrario del comitato misto paritetico sulle servitù militari e nonostante si sia entrati nel vivo della stagione turistica.  In questo scenario, dove la politica si è ritirata, riesplode quindi il problema delle servitù militari. Delle loro dimensioni, della loro invadenza nella vita civile ed economica dell'isola, regioni, dell'inconsistenza logica del protrarsi di certi vincoli (come quello sull'isola di Santo Stefano) e, soprattutto, dei pericoli ai quali viene sottoposta la popolazione civile.  I parlamentari sardi del Pd Gian Piero Scanu e Giulio Calvisi hanno in queste ultime settimane rilanciato il problema "silenziato" dal centrodestra. E il ricorso al segreto di Stato sull'arsenale trasferito da Santo Stefano acquista così uno straordinario peso politico. Rappresenta in modo evidente l'incapacità del governo a dare risposte e soprattutto mostra con crudele evidenza quanto poco contino in certi gangli del potere le garanzie per la salute e la sicurezza della popolazione.

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