La Nuova Sardegna

Ardeatine, inchiesta insabbiata per scelta del governo italiano

Marco Vitali
Ardeatine, inchiesta insabbiata per scelta del governo italiano

16 gennaio 2012
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Ala fine degli anni Cinquanta fu il governo italiano che decise di non perseguire i responsabili dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, per cui sono stati chiamati a rispondere solo Herbert Kappler ed Erich Priebke. Lo sostiene lo Spiegel, che pubblica i risultati di una ricerca dello storico Felix Bohr basata su documenti rinvenuti nell'archivio politico dell'Auswaertiges Amt (AA), il ministero degli Esteri tedesco.  Lo storico ha trovato la corrispondenza intercorsa nel 1959 tra l'ambasciata tedesca a Roma e l'AA, da cui emerge che diplomatici italiani e tedeschi lavorarono insieme per evitare che i complici di Kappler venissero chiamati a rispondere dei loro crimini davanti alla giustizia italiana. Il consigliere d'ambasciata tedesco dell'epoca a Roma, Kurt von Tannstein, iscritto al partito nazista dal 1933, scriveva che l'obiettivo «auspicato da parte tedesca e italiana» era di «addormentare» le indagini sull'eccidio del marzo 1944 in una cava della capitale in cui morirono 335 tra civili e militari italiani.  Il settimanale di Amburgo scrive che «l'iniziativa partì dal governo italiano» perché i dirigenti democristiani non avevano interesse a chiedere l'estradizione dei responsabili dell'eccidio residenti in Germania. Un diplomatico italiano di rango elevato spiegò infatti che «il giorno in cui il primo criminale tedesco verrà estradato, ci sarà un'ondata di proteste in altri Paesi, che a quel punto chiederanno l'estradizione dei criminali di guerra italiani». Gli altri motivi dei governanti italiani erano di non turbare i buoni rapporti con la Germania del cristiano-democratico Konrad Adenauer, alleata nella Nato, e di non fornire un vantaggio propagandistico al Partito comunista italiano.  I documenti scoperti dallo storico Bohr rivelano adesso il contenuto di un colloquio che l'ambasciatore tedesco Manfred Klaiber ebbe nell'ottobre 1958 con il capo della procura militare di Roma, colonnello Massimo Tringali, che si era recato in ambasciata. Klaiber scrisse a Bonn come «nel colloquio il colonnello Tringali» avesse «espresso che da parte italiana non c'è alcun interesse a portare di nuovo all'attenzione dell'opinione pubblica l'intero problema della fucilazione degli ostaggi in Italia, in particolare di quelli alle Fosse Ardeatine». Tringali precisava che ciò «non era auspicato per motivi generali di politica interna». Per questo il colonnello «esprimeva l'auspicio che dopo un doveroso ed accurato esame le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciare il loro luogo di residenza, oppure che le persone non erano identificabili a causa di inesattezze riguardo alla loro identità».  Il colonnello italiano avrebbe aggiunto che, nel caso in cui le autorità tedesche fossero arrivate dopo un'inchiesta alla conclusione che tutti o parte dei responsabili dell'eccidio vivevano in Germania, «la Bundesrepublik era libera di richiamarsi all'accordo italo-tedesco di estradizione e di spiegare che le informazioni richieste non potevano essere fornite, in quanto la Bundesrepublik, in base ai suoi regolamenti, non estrada i propri cittadini».  L'ambasciatore Klaiber, iscritto al partito nazista dal 1934 ed entrato sotto Hitler nel ministero degli Esteri del Terzo Reich, aveva aggiunto una nota personale in cui appoggiava la «ragionevole richiesta» italiana, a cui bisognava fornire una «risposta assolutamente negativa». Il risultato fu che nel gennaio 1960 dall'AA di Bonn arrivò all'ambasciata tedesca a Roma la risposta che nel caso della maggior parte dei ricercati «non è possibile al momento rintracciare il luogo di residenza», esprimendo anche il dubbio che «essi siano ancora in vita». Un addetto dell'ambasciata annotò che «ciò corrisponde al risultato atteso».  Le ricerche dello storico berlinese hanno invece accertato che uno dei criminali di guerra ricercati, Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione alle Fosse Ardeatine, lavorava presso ilBundesnachrichtendienst, i servizi segreti tedeschi. Quindi era, come dire..., rintraciabilissimo. Anche Kurt Winden, che secondo Kappler aveva collaborato alla scelta degli ostaggi da fucilare, sarebbe stato facile da rintracciare, poiché nel 1959 era il responsabile dell'ufficio legale della Deutsche Bank a Francoforte. Per quanto riguarda invece l'Obersturmfuehrer Heinz Thunat, il suo indirizzo era «noto» nel 1961, ma un funzionario dell'AA scrisse a Klaiber e Tannstein di comunicare agli italiani che «su Thunat non si è in grado di fornire informazioni».  Il risultato fu che in Italia il procedimento giudiziario nei confronti degli altri responsabili dell'eccidio alle Fosse Ardeatine venne archiviato nel febbraio del 1962. I presidenti del Consiglio del periodo considerato sono Adone Zoli, Antonio Segni, Ferdinando Tambroni e Amintore Fanfani.
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