La Nuova Sardegna

Gli anni violenti in cui Badu 'e carros ospitò capi del terrorismo e boss mafiosi

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Luciano Leggio boss di Corleone diventò il capo dei capi di Cosa Nostra prima di Totò Riina

26 febbraio 2012
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Accadde tutto molto rapidamente, fuori dal contesto del confronto politico. Ma la decisione venne assorbita senza polemiche. Perché quelli erano anni tormentati e violenti e si conviveva con una condizione sociale che aveva forti riflessi giuridici e politici: l'emergenza. Una condizione che aveva posto le premesse all'accordo storico dell'unità nazionale.  Era il 4 maggio 1977 quando un decreto interministeriale fece entrare il carcere nuorese di Badu'e carros nella geografia strategica di quella guerra crudele e asimmetrica, poi consegnata alla storia come gli «anni di piombo». La fortezza grigia che sorgeva alla periferia di Nuoro, là dove la città si perdeva in una disordinata fungaia di case, diventò così «carcere speciale» insieme all'Asinara, Pianosa, Favignana e Termini Imerese.  Il «circuito dei camosci». L'ideologo e lo stratega di quella complessa macchina costruita per cercare di arginare e piegare il terrorismo era il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una logica fredda e pragmatica, quella del generale, poi ucciso a colpi di kalashnikov a Palermo, il 3 settembre del 1982: creare un circuito carcerario superprotetto per ospitare i militanti della lotta armata e i detenuti comuni più pericolosi. Un circuito che i brigatisti rossi chiamarono con amara ironia «il circuito dei camosci».  La spinta dell'emergenza ignorava però complessità ed evoluzioni pericolose nelle quali non era difficile prevedere sismi culturali, nuove elaborazioni criminali e inquinamenti velenosi in tessuti sociali fragili come quello barbaricino. Badu'e carros, prima carcere simbolo dell'antico malessere della Sardegna, si trasformò così in poco tempo in un vulcano dal quale tracimava la lava incandescente di ideologie radicali e violente, ma anche dal quale partivano insinuanti radici tossiche che potevano corrompere un universo ancora sospeso tra passato e futuro, tra antiche anomie e voglia di modernità.  Coloro che intuirono per primi questo rischio furono alcuni magistrati, come l'allora procuratore della Repubblica di Nuoro Francesco Marcello, che parlò di «un braciere perennemente acceso», e l'allora presidente della corte d'appello Salvatore Buffoni, che definì il supercarcere di Badu 'e carros un «focolaio di violenza che rischia di incendiare la Barbagia».  Non erano semplici paure: in quel gelido mondo separato, fatto di pietre grigie e di sbarre, si cominciarono subito a contare i morti. Nel 1980, durante una rivolta, furono uccisi Biagio Iaquinta, 28 anni, cosentino, e Francesco Zarrillo, 34 anni di Caserta. Per quel delitto furono condannati Pasquale Barra (detto O' Animale), il boia delle carceri Cesare Chiti e il cutoliano Marco Medda. Una delle due vittime fu decapitata. Poi fu la volta di Claudio Olivati, strangolato durante l'ora d'aria.  Ma il 17 agosto del 1981 fu soprattutto l'omicidio di Francis Turatello «Faccia d'Angelo», boss della mala milanese, che mostrò cosa stava diventando il supercarcere nuorese nel quale erano compresse realtà criminali e politiche estreme: un mattatoio. Durante l'ora d'aria Turatello venne assalito e massacrato a coltellate. I suoi boia gli strapparono il cuore dal petto e lo morsero come gesto di estremo dileggio. Poi Turatello fu sventrato. Probabilmente Faccia d'Angelo rimase schiacciato dall'accordo fatto da Raffaele Cutolo e Angelo Epaminonda, detto il Tebano, per spartirsi la piazza di Milano.  Tutto questo non bastò per arrivare a un ripensamento. Badu 'e carros, per ragion di Stato, doveva restare un bunker impenetrabile nel quale lo Stato doveva seppellire una stagione politica di sangue e uccidere i sogni rivoluzionari di vite perdute. Non solo: doveva anche essere un inferno ermetico per i boss della grande criminalità.  Ma l'allarme lanciato da Marcello e da Buffoni non si riferiva solo alla pericolosissima concentrazione di violenza che inevitabilmente avrebbe portato a devastanti esplosioni. L'altro rischio era quello della "contaminazione criminale". Cioè come la presenza di boss come Luciano Leggio, il capo dei corleonesi, di Francis Turatello e di Renato Vallanzasca avrebbe potuto condizionare la malavita sarda. Il rischio altissimo per la Sardegna era quello di una catechesi criminale, una modificazione culturale che avrebbe potuto coniugarsi con le logiche mafiose.  Una catechesi criminale. Nel libro "Il ventre della bestia", lo scrittore-assassino Jack Abbott aveva raccontato come nel carcere si compongono e si scompongono geografie esistenziali, maturano conflitti e solidarietà, ma soprattutto, nello spazio angusto e claustrofobico della galera, si incontrano e dialogano universi umani lontani, costretti a una contaminazione reciproca nella convivenza forzata. E la risultante può essere imprevedibile.  Secondo la Commissione parlamentare Antimafia, il salto di qualità della malavita barbaricina e ogliastrina si sviluppò negli anni Ottanta e Novanta, proprio grazie a «rapporti creatisi a Badu e carros tra camorristi e banditi sardi»: da Napoli arrivavano l'eroina e la cocaina che poi venivano immesse nel mercato locale grazie alle prime strutturazioni della malavita sarda. Certo, non tutta l'evoluzione della criminalità isolana degli ultimi trent'anni può essere ricondotta a incontri, accordi e complicità nati e maturati in carcere. Ma sicuramente Badu e carros ha rappresentato un luogo strategicamente significativo per la nascita di nuove solidarietà e l'inizio di una violenza nuova.  Pericolose solidarietà. In alcuni rapporti di polizia degli anni '70, poi, sono stati registrati alcuni controlli in Barbagia dai quali risulta che personaggi emergenti della malavita mamoiadina erano stati sorpresi insieme ad alcuni boss della mafia agrigentina. E come interpretare, poi, l'evoluzione di quella che sarà chiamata la seconda faida di Mamoiada nella quale diventò sempre più frequente il ricorso a tecniche mafiose come le bombe telecomandate o l'uso di quantità sempre maggiori di esplosivo negli attentati? Ma anche agguati in stile palermitano e l'ammodernamento degli arsenali con l'introduzione di armi potenti ed efficienti come i kalashnikov al posto dei vecchi Sten inglesi.  Era il segno esteriore, forse ancora superficiale, che Badu 'e carros era stato capace di creare una sintesi tra sapienze criminali fino ad allora lontanissime. In alcune inchieste su delitti eccellenti commessi a Nuoro affiorarono perfino indizi concreti che i sicari fossero arrivati da oltremare. E poi, come interpretare fenomeni storicamente certi come la latitanza in Sicilia e in Calabria di alcuni personaggi appartenenti all'aristocrazia criminale barbaricina?  C'era poi un livello più segreto e nascosto di rapporti. Quello che era nato tra ambienti nuoresi e i cosiddetti supporti logistici ai boss. A Badu 'e carros, per esempio, scontava l'ergastolo Luciano Leggio, il boss corleonese che aveva cominciato la sua irresistibile ascesa, insieme ai suoi fedelissimi Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella. Leggio, il "viddano" crudele, aveva cominciato la guerra di conquista dentro Cosa Nostra attaccando il vertice dell'organizzazione rappresentato dalle famiglie palermitane dei Bontate, degli Inzerillo e dei Badalamenti. Ebbene, Leggio aveva bisogno di supporti esterni per avere garantito il proprio tenore di vita in carcere, adeguato al suo alto lignaggio di boss carismatico della più potente organizzazione criminale. Si scoprì così una struttura d'appoggio, una rete silenziosa e discreta, nascosta dietro alcuni esercizi commerciali di Nuoro.  La scoperta della droga. C'è poi il capitolo dello sdoganamento della droga in Sardegna. Business che la criminalità locale guardava con diffidenza e sospetto perché culturalmente non accettata. Esistono pesanti riscontri processuali che comprovano il fatto che fu don Gaetano Iannì, il boss degli "stiddari" di Agrigento e Caltanissetta, al confino nel Sulcis, a far crescere aggregazioni criminali di Cagliari, come la cosiddetta Banda di Is Mirrionis che creò un contatto diretto con le mafie internazionali. Come quella turca, che aveva in mano il traffico dell'eroina.  Sta di fatto che la stagione delle prigioni speciali cominciò a finire quando, nel 1983, Papa Giovanni Paolo II dichiarò solennemente: «L'uomo conserva integra la sua dignità di persona, che per sua natura è inalienabile, anche in stato di colpevolezza. La restrizione delle libertà personali trova in quella dignità un limite inalienabile». Il Pontefice aveva raccolto il grido amaro e disperato dell'allora capellano di Badu 'e carros, don Salvatore Bussu.

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