La Nuova Sardegna

Scacco al re: non è reato ricordare il caso Hamer

Scacco al re: non è reato ricordare il caso Hamer

Archiviata la denuncia di Vittorio Emanuele di Savoia che si sentiva diffamato dalla Nuova per la pubblicazione di un’intercettazione nel carcere di Potenza

14 gennaio 2013
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SASSARI. La Nuova Sardegna non ha diffamato il signor Di Savoia Vittorio Emanuele, ultimo pretendente a quel trono d'Italia, spazzato via dalla storia e cancellato da quasi 13 milioni di voti nel referendum di 67 anni fa. Il giudice per le indagini preliminari di Sassari Carla Altieri, concordando con le conclusioni del pubblico ministero e degli avvocati difensori del giornale, Sebastiano Chironi e Luigi Satta, ha emesso infatti il decreto di archiviazione del procedimento che vedeva imputati l'ex direttore della Nuova Stefano Del Re e il giornalista Piero Mannironi. Vittorio Emanuele, attraverso i suoi legali, si era opposto alla prima richiesta di archiviazione dalla procura di Sassari fatta nel marzo del 2012, ma le sue ragioni si sono dissolte nell'udienza davanti al Gip di Sassari.

Ma di cosa si doleva il principe di Savoia-Carignano? Da cosa si sentiva diffamato quest'uomo che nonostante dica da anni di sentirsi italiano non abbandona la sua residenza dorata di Route de Hermance, a Ginevra? L'origine della sua ira regale è da ricercare in un articolo firmato da Piero Mannironi e pubblicato sulla Nuova il 16 settembre del 2008. Si trattava di un servizio che riprendeva il cosiddetto "caso Hamer", cioè il ferimento del giovane studente tedesco Dirk Hamer, avvenuto nell'Isola di Cavallo, in Corsica, la notte del 18 agosto 1978. Il giovane si spense quattro mesi dopo, nonostante ben 13 inutili e devastanti interventi chirurgici. Per quel fatto il signor Vittorio Emanuele di Savoia venne processato e poi assolto nel 1991, al termine di un processo che fece molto discutere.

Ebbene, il caso si riaprì, senza però avere conseguenze giudiziarie, quando il pretendente all'inesistente trono d'Italia venne intercettato il 21 giugno del 2006 nel carcere di Potenza, dove era stato rinchiuso perché accusato di associazione per delinquere, corruzione e falso dal Pm John Woodcock.

Parlando con un compagno di cella, l'imprenditore messinese Rocco Migliardi, Vittorio Emanuele rievoca con una freddezza agghiacciante la tragica notte in cui venne ferito Dirk Hamer e, su quella incredibile assoluzione della corte d'assise di Parigi, ci ride su. Assolutamente superflui i commenti sulle sue parole che sono verificabili dall'intercettazione audio-video consultabile da tutti nel web: «Anche se avevo torto… devo dire che li ho fregati. Venti testimoni: si sono affacciate tante di quelle personalità pubbliche. Il procuratore aveva chiesto 5 anni e 6 mesi, ma ero sicuro di vincere. Ero più che sicuro». Poi, descrive i momenti più drammatici di quella notte, ammettendo di aver colpito lui il povero Dirk Hamer: «No, io ho sparato un colpo così e un colpo in giù, ma il colpo è andato in questa direzione, è andato qui e ha preso la gamba sua, che era steso, passando attraverso la carlinga. Pallottola trenta-zero-tre».

La procura di Potenza trasmette il documento videoregistrato alla procura di Roma che lo mette a disposizione di chi può averne un legittimo interesse. Cioè la sorella del povero Dirk, Brigit Hamer. La donna incarica così il suo avvocato francese, Sabine Paugam, di verificare se esiste una possibilità di riscrivere l'assurda storia giudiziaria della morte senza colpevoli del fratello. Grazie alla storica "legge Seznec" (dal nome del protagonista di un clamoroso caso giudiziario) dal 1989 in Francia è possibile la revisione del processo. Il primo passo della penalista riserva però una clamorosa sorpresa: nell'archivio della corte d'assise di Parigi non esiste traccia della sentenza del 1991 che assolveva Vittorio Emanuele di Savoia. Niente di niente. «Una situazione giuridicamente eccezionale, mai avvenuta prima» è il commento laconico della Paugam.

Resta però il fatto che la video-intercettazione nel carcere di Potenza riapre un'antica e dolorosa ferita mai rimarginata per la famiglia Hamer. E ripropone tutti i dubbi sul processo di Parigi. Dubbi tanto forti da aver indotto, il 19 dicembre 1991, ben 18 giornalisti che avevano seguito le udienze a scrivere una lettera alla famiglia Hamer nella quale, tra l'altro, si legge: «Quello che è avvenuto al processo ci ha disgustati tutti… L'unica nostra ben misera consolazione è che non sia stato un tribunale italiano a dare l'assoluzione». Giudizio a dir poco tagliente. Ma che si basa su robusti riscontri oggettivi. Prima di tutto i tempi: si arriva al processo di Parigi dopo ben 13 anni, mentre i tempi medi della giustizia francese sono di due anni. Di più: il processo si consuma, incredibilmente, in appena tre giorni.

Poi, i testimoni. In quella notte di follia del 1978 a Cala Palma, nell'isola di Cavallo, c'erano almeno 30 persone. Di ben 17 esistono agli atti i verbali di interrogatorio, ma in dibattimento vengono citati solo in tre e interrogati solo in due. Uno è la sorella della vittima, l'altro è il playboy romano Nicky Pende, che quella notte affrontò Vittorio Emanuele che era armato di un fucile da guerra M-12, regalatogli dall'ex dittatore filippino Marcos. Eppure al processo vengono sentiti ben venti "testimoni morali". Cioè politici, scrittori, ex diplomatici e un oceanografo. Si tratta di personaggi che fanno parte dell'ambiente dell'erede al trono. Jean-Paul de Rocca Serra, potentissimo sindaco di Porto Vecchio, presidente dell'assemblea regionale corsa e senatore della Repubblica francese dice: «Apprezzo la gentilezza e la cortesia del principe del quale mi onoro di essere amico. È un uomo d'onore: se avesse avuto una responsabilità l'avrebbe sicuramente detto».

Non affiorano nel processo molti elementi significativi. Primo fra tutti la dichiarazione rilasciata da Vittorio Emanuele il 28 agosto 1978: «Io sottoscritto riconosco la mia responsabilità civile per l'infortunio del 18 agosto 1978 accaduto al signor Hamer» (offrirà poi anche una cifra consistente alla famiglia Hamer come fondo spese per le cure del ragazzo). E di aver colpito il giovane tedesco, Vittorio Emanuele lo dice chiaramente in un'intervista rilasciata alla Stampa di Torino: «Pende uscì dal suo yacht. Mi insultò e mi aggredì. Allora, spaventato, sparai un colpo in aria. L'altro mi sfuggì. Così ho colpito il ragazzo tedesco».

Ma come è possibile allora che si sia arrivati all'assoluzione di Vittorio Emanuele? La sua difesa insinuò il dubbio che quella notte ci fu un secondo sparatore, oltre al principe. Tutto nasceva dal fatto che venne trovata una pistola (regolarmente denunciata) nello yacht di Vittorio Guglielmi, dove dormiva il povero Dirk. Nonostante la prima relazione dei gendarmi di Bonifacio Nowaczyk e Monet parlasse di frammenti di vetro e di legno all'interno della cabina (quindi il colpo proveniva dall'esterno), al processo ebbe spazio la grottesca testimonianza dell'avvocato italiano Isolabella che disse di aver sentito, tempo dopo, in un bar di Portofino due sconosciuti parlare tra loro. Uno diceva all'altro: «Quella notte non è stato l'erede al trono a sparare al giovane nordico, ma un altro». Chi? chiese il presidente della corte di Parigi. «Vittorio Guglielmi, il proprietario della barca sulla quale dormiva il ragazzo. E' lui che ha sparato» rispose Isolabella. Nessuno accertò che relazione ci fosse tra questo avvocato e Vittorio Emanuele, nonostante, come ricorda Birgit Hamer, prima di uscire dall’aula baciò la mano a “sua altezza” l’imputato. E, guarda caso, Isolabella è stato il difensore del Savoia nel procedimento di Potenza...

La testimonianza di Nicky Pende (il quale dice esplicitamente ai giudici che Vittorio Emanuele gli sparò contro) sembra non avere un peso specifico processuale per la corte. E così l'ipotesi del secondo sparatore pone quel dubbio che legittimerà l'assoluzione. Già, e il numero delle detonazioni che potrebbe dare un minimo di verosimiglianza a questa tesi? Quasi tutti i testimoni dicono di aver sentito due colpi. Solo Vittorio Guglielmi Lante della Rovere parla di due detonazioni successive alle prime due. Ma tutto è facilmente spiegabile. Il proprietario di uno yacht alla fonda a Cala Palma, tale Massimo Tononi, dirà infatti ai gendarmi: «Avevo sentito un gran trambusto e poi due detonazioni. Così sparai in aria due razzi di segnalazione per vedere cosa stava accadendo». (p.m.)

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