La Nuova Sardegna

Compro oro, simbolo di un’isola disarmata e svenduta

di Sandro Roggio
Compro oro, simbolo di un’isola disarmata e svenduta

«Nessuno ha quasi mai trovato ostacoli nello sfruttamento dei beni naturali sardi»

01 settembre 2013
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“Compro oro”. Capita di vederla con una frequenza inquietante questa scritta: uno dei tanti indizi della crisi che sta divorando il Paese.

Come succede nei momenti di grande difficoltà c'è chi vende per tirare a campare. E c'è chi attende il momento più conveniente per comprare, e fa affari – d'oro appunto – perché da ogni tragedia, e pure nel corso delle guerre, c'è qualcuno che si arricchisce.

La Sardegna è tra le aree più disarmate di fronte a questa dura prova di resistenza (il film “Cattedrali di sabbia” di Paolo Carboni descrive con efficacia lo smarrimento postindustriale).

E si ha l'impressione che c'entri poco la malasorte. Non penso a una regia occulta per gettare l'isola nel baratro della disoccupazione di massa. Ma che qualcuno, appena informato delle teorie del generale von Clausewitz, abbia pensato che disarmata sarebbe stata più facilmente espugnabile, è plausibile.

Ed ecco la sequenza di bandiere bianche per la gioia di chi si aspetta pure gli applausi qualsiasi cosa voglia fare in Sardegna.

In fondo nessuno ha quasi mai trovato ostacoli nello sfruttamento dei beni naturali dell'isola, dal legno al corallo; alle spiagge e alle scogliere “naturalmente” destinate a fare da piedistalli di brutte case. E oggi tocca al sole, al vento, al sottosuolo. Lo stesso programma, portare via senza investire granché, prendere senza restituire praticamente nulla, provocando danni irreversibili al paesaggio e all'ambiente.

Gran parte delle coste sono state acquisite da avveduti pionieri negli anni Sessanta (anche a 50 lire a mq, quanto per sentire una canzone nel juke box). Con soddisfazione dei venditori d'oro, e gratitudine per l'imprenditore “innamorato della Sardegna”, ricevuto a Cagliari nel palazzo della Regione. Oggi – non si trascuri il valore simbolico – il presidente Cappellacci va a Doha e a Dubai, il piglio del piazzista, a chiedere a quegli investitori di volgere lo sguardo verso la Sardegna che sarà compiacente. E viene in mente la scena – «Maestà, gradisca!» – nel film di Fellini.

Quei mercati sono spietati. I fondi di quegli stati sono gestiti da rapaci finanzieri a caccia di opportunità nel Mondo, prediligono comprare debiti.

Ma ai sardi, prigionieri di un format, sono proposti come principi e cavalieri generosi, invaghiti della trasparenza del mare e della prestanza del cannonau; pronti a investire con liberalità nella filiera agroalimentare, nei trasporti o nei cavalli. Così che sembri un dettaglio l'interesse vero: il profitto che solo la speculazione edilizia può garantire nel brevissimo periodo.

Nessuna sorpresa, Cappellacci e Berlusconi lo hanno ripetuto in campagna elettorale: il disprezzo per il piano paesaggistico, il proposito di eliminare le tutele per favorire lo sviluppo (?) così come la destra in Italia lo intende al di là delle dissimulazioni. E poco conta che il ciclo edilizio non sia la panacea com'è ampiamente dimostrato. Colpisce invece che la sinistra, salvo eccezioni rare, mantenga un profilo basso che proviene anzitutto dalla esitazione del Pd, diviso su questo. e non solo.

Una parte di quel partito non ha mai voluto bene al Ppr e ha spesso recriminato sulla ostinazione di Soru colpevole di averlo voluto (curioso che le sue dimissioni da presidente non abbiano mai portato a un chiarimento).

Così si lascia che M5S occupi la scena. Grillo è il solo leader nazionale che ha denunciato il pericolo, già evidente nelle leggi approvate della Regione per consentire le brutture di cui si legge su queste pagine.

Ma è solo l'anteprima. I tre o quattro piani casa e la legge sul golf – impugnati dal governo per incostituzionalità – non bastano per assicurare l'obiettivo di distribuire salvacondotti per più consistenti trasformazioni di aree di pregio (da Bosa a Alghero, dalla Gallura al Sulcis all'Ogliastra, e a domanda si vedrà).

L'approvazione della grande variante del Ppr è annunciata per settembre. Non sappiamo se il disegno riuscirà: se il governo darà l'assenso a conclusione di un processo di copianificazione di cui non si sa quasi nulla, mentre si attende che parli il ministro (interrogato dai parlamentari Luigi Manconi, Michele Piras, Emanuela Corda).

C'è – e questo è un segnale incoraggiante – una rete di movimenti che sta contrapponendo il buon senso a dissennati programmi di trasformazioni di territori non solo litoranei. Ne fanno parte molte donne determinate, “dolcemente complicate”, e questa è una garanzia.

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