La Nuova Sardegna

L’ultima a vederla viva fu la madre Angela

L’ultima a vederla viva fu la madre Angela

La vittima trascorse il pomeriggio con la sua bambina. Si allontanò alle 18,10. Dopo mezz’ora fu uccisa

04 ottobre 2013
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NUORO. «No, mamma, voglio tornare a casa, ora, e mettere il pigiamino a Elisabetta, che è stanca». Il 26 marzo del 2008, circa un quarto d’ora prima di guardare in faccia i suoi killer che l’attendevano nel corridoio che dal garage conduce all’appartamento di via Sant’Antiocru, Dina Dore aveva risposto così, ad Angela Marchi, che insisteva per trattenerla ancora un po’, nella sua casa d’infanzia. Quando, qualche mese dopo, avrebbe ripensato a quel momento, Angela Marchi si sarebbe crucciata soprattutto di una cosa: che non l’aveva salutata dalla finestra, come faceva sempre. «Quel giorno – aveva detto, Angela Marchi – non so perché ma non l’ho seguita, dalla finestra, mentre andava via. Forse perché c’era ancora luce». Le trascorre lì, stretta tra l’affetto di sua madre e della sua casa della giovinezza, le sue ultime ore di vita, Dina Dore.Poi, intorno alle 18.10, la decisione di tornare a casa, nella parte alta del paese. «Mamma, adesso vado via – aveva detto ad Angela Marchi – la piccola Elisabetta è stanca, e voglio metterle il pigiamino». Sono le 18.15, dunque, quando Dina e la figlioletta di pochi mesi, salgono nella vecchia Fiat Punto rosso scuro, e cominciano la salita verso la villetta di via Sant’Antiocru. Nessuno le vede, in quel breve percorso, attraversano Gavoi del tutto indisturbate. Alle 18.20, stando alla ricostruzione del delitto, Dina entra nel garage di casa, parcheggia la Punto, scende dall’auto, toglie le cinture di sicurezza che avvolgono il seggiolino della bambina, e la poggia, seduta nel suo bell’ovetto” sul pavimento del garage. Poi, probabilmente attratta da qualche rumore di troppo, si infila nel corridoio che separa il garage dall’appartamento vero e proprio. E lì incontra i suoi assassini. Per la squadra mobile di Nuoro e di Cagliari, erano stati accompagnati sin lì proprio dal marito di Dina, Francesco Rocca. Dina incontra dunque i suoi killer – due, probabilmente – e ingaggia con essi una battaglia sfiancante. Ma come tutte le mamme coraggiose non si tira indietro, quando c’è anche da proteggere la prole. Il corridoio che conduce all’interno della casa, ne porterà i segni, per ore, di quella battaglia: gli occhiali volano da una parte, mentre la polizia scientifica, di lì a qualche ora, reperterà diversi schizzi di sangue «verosimilmente fuoriusciti dalla ferita provocatale alla testa con un colpo inferto con un oggetto contundente», scriveranno, cinque anni dopo, i giudici del Riesame. Poi, la povera donna, ormai tramortita, viene trascinata per qualche metro fino al garage, e lì incerottata dalla testa ai piedi con diversi metri di nastro adesivo. Non le lasciano scoperto neppure un centimetro. Poi, i due killer, caricano Dina nel portabagagli della sua Punto e chiudono tutto. Sono circa le 18.30, la piccola Elisabetta comincia a piangere – così, infatti, racconterà in seguito una vicina che a quell’ora l’aveva sentita dalla strada ma non aveva pensato a nulla di strano – e Dina, la povera Dina è dentro il portabagagli che lotta in modo disperato per vivere. Qualche ora dopo, la scientifica constaterà, infatti, che in questo sforzo sovrumano per liberarsi dalla morsa dello scotch, era quasi riuscita a liberare una mano. Poi purtroppo era sopraggiunta la morte per asfissia. Più o meno negli stessi minuti – intorno alle 18.40 – nei quali risulta che il marito Francesco Rocca l’avesse chiamata al telefonino senza, ovviamente, ricevere alcuna risposta. «Eppure non manifestò alcuna preoccupazione» scrivono i giudici del Riesame – e nonostante l’ora ormai tarda si trattenne in un bar per discutere con un compaesano della vendita di un trattore». Sarà lui, comunque, dopo una vicina, a entrare tra i primi nel garage di via Sant’Antiocru. Ma il corpo di Dina verrà scoperto soltanto dopo diverse ore, intorno alle 2.20 del mattino. Tutti la cercavano nelle strade e nelle campagne di mezza Sardegna, e invece la poveretta era morta dentro il portabagagli della sua vecchia Punto rossa. (v.g.)

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