«Dina fu uccisa perché vide in faccia Contu»
Le rivelazioni di un confidente a un agente del commissariato di Macomer La vittima aveva tolto il passamontagna al killer «mandato dal marito»
NUORO. La svolta, la vera svolta di tutto, sinora rimasta sommersa nell’inchiesta sull’omicidio di Dina Dore approdata in questi giorni a giudizio in corte d’assise, è arrivata qualche giorno dopo la misteriosa lettera anonima ritrovata, la mattina dello scorso 23 ottobre, sotto l’auto della sorella di Dina, Graziella Dore. La lettera che indicava nome e cognome del killer e del mandante. La vera svolta si registra il 28 ottobre al termine di un incontro altrettanto misterioso ma che è stato raccontato, il giorno dopo, per filo e per segno, da uno dei suoi protagonisti: un agente del commissariato di Macomer che nelle prossime settimane sarà ascoltato in udienza a Nuoro come testimone prezioso. Ma sinora, il suo contributo, era rimasto del tutto nascosto.
La relazione del poliziotto. Sono le 18 del 29 ottobre scorso e il poliziotto in questione accende il suo computer e scrive una relazione di servizio piuttosto dettagliata. Il contenuto è così travolgente che cambierà per sempre un’inchiesta che sino a quel momento, se si esclude la lettera anonima spuntata dal nulla, non sapeva esattamente dove andare a parare, oltre alla pista di un terreno conteso e a un mucchio di interrogatori finiti con altrettanti “non so nulla”.
L’incontro col confidente. L’agente del commissariato racconta, nella sua relazione, che esattamente 24 ore prima, ovvero intorno alle 18 del 28 ottobre, a Gavoi aveva incontrato un suo fantomatico “confidente” che lo aveva contattato con urgenza. «Ho notizie importanti sull’omicidio di Dina Dore – gli aveva detto – incontriamoci a Gavoi che te ne parlo». Il poliziotto, ovviamente, non si fa pregare: all’orario concordato si presenta in paese, incontra il suo confidente, e apprende da lui una storia dai contorni sorprendenti.
Il credito di Contu. Il confidente gli racconta, infatti, di aver captato a Gavoi nelle settimane precedenti, alcune voci secondo le quali «Pierpaolo Contu di Gavoi vantava un cospicuo credito nei confronti di un compaesano». Il confidente aggiunge anche che poco dopo, di quelle voci, chiede conto allo stesso giovane Pierpaolo. E quest’ultimo, «dopo una iniziale ritrosia a parlare, dice che il credito in questione era vantato nei confronti di Rocca, come corrispettivo per un grosso favore fatto nei suoi confronti». Quale favore?, gli chiede il confidente. E Contu, sempre secondo quanto raccontato dal confidente, dopo un momento di iniziale reticenza, forse spaventato dall’atteggiamento deciso del suo interlocutore, alla fine decide di parlare.
La confessione. Lo riferisce lo stesso agente di polizia nella sua relazione di servizio datata 29 ottobre 2012. «Contu – scrive – al confidente finiva col riferire quanto segue: il giorno dell’omicidio, intorno alle 14.30, Contu Pierpaolo, all’epoca minorenne, veniva accompagnato nei pressi del bivio per Ollolai e veniva successivamente prelevato da Rocca Francesco e fatto adagiare da quest’ultimo nel vano bagagli della sua autovettura, marca Bmw, per poi introdursi subito dopo nel garage della abitazione del Rocca, luogo dell’omicidio». «Secondo quanto deciso da Rocca – continua l’agente nella sua relazione – Contu avrebbe dovuto prelevare la Dore, viva o morta, per poi portarla nei pressi del lago di Gusana, precisamente al ponte della Cervi, punto in cui avrebbe dovuto essere successivamente prelevata da altre persone».
Dina riconosce il killer. E qui, proprio a questo punto, secondo quanto raccontato dal misterioso confidente all’agente di polizia, il piano salta. Il rapimento, o meglio il tentativo di caricare la povera Dina nell’auto per portarla verso il lago di Gusana e ucciderla, non viene portato a termine, «perché al momento della colluttazione con Contu, la Dore, dopo aver messo all’interno del marsupio le chiavi della sua auto, poi rinvenute dalla polizia, riesce a togliere il passamontagna a Contu , riconoscendolo, e proferendo al suo indirizzo la seguente frase: “Perché mi fai questo?”». Se, dunque, il processo dovesse confermare quanto riferito dal confidente al suo amico poliziotto, Dina Dore, la sera del 26 marzo del 2008, ha pagato con la vita la sua reazione alla vista del killer. Ha pagato con la vita il fatto di aver combattuto al punto da togliere il passamontagna del killer, e riconoscerlo come un suo giovane compaesano. «Perché mi fai questo?» gli avrebbe gridato.
La fuga e i testimoni. Dopo l’omicidio, sempre secondo il racconto del confidente, Contu fugge dalla casa della vittima, verso via Sant’Antiocru, incontra un compaesano che però a quanto pare non lo riconosce, e pure un altro ragazzo, che una volta interrogato dirà di non averlo visto. Infine, sempre secondo il racconto del confidente, Contu avrebbe percorso tutta la periferia di Gavoi, oltrepassato la cosiddetta curva di Zeppino, e dopo aver superato un sottopasso stradale «si introduceva nell’orto della propria abitazione dove si toglieva gli abiti e li nascondeva per poi bruciarli circa un mese dopo».
©RIPRODUZIONE RISERVATA