La Nuova Sardegna

Il ritorno al pensiero dei “Quaderni”

di Giacomo Mameli
Il ritorno al pensiero dei “Quaderni”

Una chiave valida per interpretare il presente: lo sostiene la rivista Lares in un numero monografico

28 aprile 2014
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di Giacomo Mameli

Bisognava "salvare" Antonio Gramsci "da una lenta dimenticanza e una ingiusta smemoratezza italiana, mentre nel resto del mondo, anche se talora senza adeguate filologie storiche, Gramsci veniva clamorosamente e appassionatamente adottato e fatto rivivere. Perché Gramsci più lo studi e più appare nuovo. Rivive con più fasci di luce, da arcobaleno, con una "polifonia" di analisi che diventano "contrappunto" nel nuovo numero di Lares, il quadrimestrale fondato nel 1912 e oggi diretto da Pietro Clemente, docente di Antropologia all'università di Firenze. Clemente (nato a Nuoro, infanzia a Meana, studi a Cagliari dove si è laureato con Alberto Mario Cirese), ha coordinato le ricerche di sette studiosi gramsciani delle università di Bologna, Pisa, Urbino, Roma La Sapienza e Londra (Giovanni Mimmo Boninelli, Derek Boothman, Fabio Dei, Antonio Deias, Fabio Frosini, Alessandro Simonicca e Cosimo Zene). È stato il direttore d'orchestra "di una sonorità prima non udibile". Perché propone una lettura polifonica del grande pensatore di Ales-Ghilarza utilizzando i contributi di due convegni a Nuoro. Lo fa con "la traccia guida" di Antonio Deias, direttore del servizio tecnico scientifico dell'Istituto superiore etnografico e con le ricerche di un appassionato analista gramsciano, Giorgio Baratta, morto a gennaio del 2010, presidente della “International Gramsci Society Italia", promotore di moltissime iniziative culturali, tutte costruite all'insegna del dialogo attorno al pensiero di Gramsci. È stato Baratta ad avere «la forte intuizione di riportare Gramsci in Sardegna per sottrarlo a Mosca, di accettare la semplicità del suo mondo di memorie di bambino, dell'amore della madre, la rosa nella cella del recluso, per ricostruire una nicchia di protezione che consentisse di contenere nuove interpretazioni. Volle bagnare questa nicchia in terra sarda, con l'isola patria culturale».

«Baratta conobbe Gramsci – dice Deias – senz'altro per gli studi e per la professione. Tuttavia per sua stessa ammissione, diceva di non averne capito niente. Il percorso gramsciano inizia negli anni '80, imposto dalla necessità di ripensare il fallimento della sinistra e particolarmente della sinistra comunista. Nella seconda metà degli anni '80 del Novecento, mentre ripercorreva luoghi gramsciani, lo ho incontrato a Ghilarza, dove stabilisce rapporti con molti sardi interessati a Gramsci, fra i quali Umberto Cardia, Nereide Rudas, Francesco Cocco e Silvano Tagliagambe. Nelle visite che si fanno sempre più frequenti, preparate con lunghe conversazioni telefoniche, intesse conoscenze e rapporti con altri studiosi e politici, ma soprattutto con la gente comune frequentatrice dei luoghi gramsciani o che egli porta a Gramsci. In loro ritrova tracce e spiegazioni di Gramsci. Nel 1988 a Ghilarza, in un convegno internazionale, presenta il documentario della Rai "Gramsci l'ho visto così" di Gianni Amico, su soggetto dello stesso e di Baratta. Sorprendente di quel documentario fu la visione internazionale del personaggio e del lascito, declinati con lo scavo in profondità, in Sardegna, delle connotazioni strutturali di Gramsci. Questa traiettoria sarà il filo conduttore di Baratta che intanto operava per la creazione dell'Igs, International Gramsci Society e poco dopo di Terra Gramsci e del "Gramsci dei piccoli"».

Nel numero miscellaneo di Lares ("Prove d'orchestra. Giorgio Baratta e Gramsci fra modernità e contemporaneità") è proprio Clemente a rendere organico lo studio di Deias ("Gramsci in contrappunto") perché "Gramsci legge lo Stato nella storia del pensiero moderno" e perché "la società civile di Gramsci, oltre quella di Hegel, è luogo della pluralità, del brulicare della varietà di interessi, forse del contrappunto". Si analizzano gli studi molteplici su Gramsci, viene citato il "Nino mi chiamo" di Luca Paulesu, emergono le analisi di Lelio Basso, Rosa Luxemburg, Gianni Bosio "e via ricordando il comunismo eterodosso". E il localismo accentuato dai processi di globalizzazione? C'è certo il Gramsci politico, ma soprattutto lo studioso del folklore, della religione, il Gramsci figlio e il Gramsci padre, un Gramsci plurale che non può stare "recluso" in una sola casella. Una studiosa americana, Cathy Crehan, citata nel saggio di Fabio Dei, scrive: "Per Gramsci la cultura è un precipitato che si genera costantemente nel corso della storia. L'approccio complessivo di Gramsci alla cultura è lontanissimo dalla classica tendenza antropologica a costruire una mappatura di culture distinte e ben delimitate".

Nel nome di Gramsci, nel numero di Lares (165 pagine, editore Leo S. Olschki, Firenze) emergono i rapporti dialettici fra Baratta e un altro grande studioso legatissimo alla Sardegna, uno dei fari veri dell'università di Cagliari, Alberto Mario Cirese che – radiografando Gramsci – cercava «un universalismo alternativo basato sull'autonomia dei gruppi sociali». E anche per questo è necessario, quasi vitale «un ritorno a Gramsci come eredità aperta, capace di leggere il futuro».

«Assistiamo – scrive Deias – a una continua moltiplicazione delle antropologie». E ancora: «La funzione di Gramsci è comunque anche di porre in relazione l'antropologia nazionale con l'antropologia internazionale, senza ridurre nessuna delle due all'altra. Accettare la carta d'imbarco a nome Gramsci non ci garantisce né chi si siederà accanto né il luogo di destinazione».

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