La Nuova Sardegna

«Chiedevo soltanto il rispetto della legge»

di Mauro Lissia
«Chiedevo soltanto il rispetto della legge»

Al processo Ornella Piredda conferma le accuse davanti agli ex consiglieri Sollecitava le note giustificative delle spese: evitata da tutti e isolata

31 maggio 2014
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CAGLIARI. Dieci anni di lavoro ininterrotto nei gruppi politici regionali. Poi la semplice, normalissima richiesta di rispettare la legge e attorno a Ornella Piredda s’è fatto un deserto di ghiaccio: «Buttata in una stanza per un anno, che cosa ho fatto? Niente, non mi davano più niente da fare, per me neppure un saluto. A un certo punto ho pensato di essere io la pazza».

È mezzogiorno e l’aula del tribunale è rovente di folla quando la donna apparentemente fragile che ha messo nei guai giudiziari 92 onorevoli si siede al banco dei testimoni per chiudere la partita con la politica sarda cominciata quasi cinque anni fa. I difensori dei diciotto imputati di peculato aggravato e i pochi ex consiglieri presenti la scrutano in silenzio e lei, un sorso d’acqua da una bottiglietta che s’è portata da casa, fissa il pm Marco Cocco in attesa delle domande. Sono due ore abbondanti di ricordi nitidi, precisi, senza mai perdere il controllo del tono di voce. Lo sguardo non è quello di chi odia, le parole non sconfinano nel rancore, spesso l’espressione s’allarga fino al sorriso.

Cercavo aiuto. «Non so perché mi abbiano trattato così, ho cercato aiuto, ho provato a capire. Ma non c’è stato nulla da fare». Null’altro che mettere in fila i fatti, nel 2009 con gli esposti alla Procura e ieri mattina in un’aula pubblica: «Tutto è nato quando dal gruppo Insieme per la Sardegna sono stata trasferita al misto - ha raccontato la funzionaria, oggi in pensione - e ho cercato di consegnare la documentazione delle spese sostenute dai consiglieri passati anche loro, con me, al nuovo gruppo». Era la fine del 2005, la Piredda portava con sé l’esperienza di dieci anni («sempre visto consiglieri che giustificavano le spese») ed era convinta che le regole fossero le stesse: «Mi sembrava ovvio».

Non sono fatti tuoi. Invece il segretario del gruppo, Angelo Sanna - indagato anche lui per peculato - le fa capire che doveva accettare un cambio di registro: «Un colloquio concitato - ha riferito la funzionaria - in cui Angelo, che si occupava della cassa, mi liquidò dicendo che non servivano giustificativi perché il regolamento non lo prevedeva. Disse che uno zio magistrato gli aveva spiegato che andava bene così. L’atteggiamento? Della serie “fatti gli affari tuoi”. Eppure chiedevo solo che le spese venissero documentate... rimasi sconvolta».

Emarginata. Quel faccia a faccia, avvenuto davanti a una collega rimasta in perfetto silenzio, è l’origine del calvario che attende la Piredda: «Mi rivolsi al capogruppo Giuseppe Atzeri, l’amministratore. Nessuna spiegazione, neanche una parola. Ci davamo del tu, mai uno screzio... si trasformò in un’altra persona, da quel giorno neppure un ciao». Soltanto alcuni consiglieri («Sergio Marracini, Peppino Balia, Maria Grazia Calligaris, poi anche Renato Lai») cercano di aiutarla, parlano col presidente Giacomo Spissu, provano a stemperare una tensione che si taglia a fette. Ma Ornella Piredda è in punizione e ci resta: «Mi fecero un’assunzione ex novo, così persi l’anzianità di servizio e trecento euro in busta-paga. Un disastro, per me. Ho cercato di resistere, alla fine sono stata costretta a rivendere la casa, non mi bastavano i soldi per il mutuo».

La malattia. Si ammala, la funzionaria. Colpita com’è da un mobbing silenzioso e incessante. Pian piano perde tutto, ogni incarico, non conta più nulla e più nessuno le parla. La fanno fuori, senza una ragione che non sia legata alla sua richiesta di rispettare la legge. Nel frattempo vede e registra nella mente quello che le accade attorno, in quelle giornate interminabili: «È assurdo - racconta - un giorno hanno fatto tinteggiare tutte le stanze del gruppo, tutte tranne la mia». Segnali espliciti di ostilità, che Ornella vive malissimo.

Le denunce. Così, isolata da un mondo che era stato il suo per molti anni, matura la decisione di rivolgersi alla magistratura: «Prima la causa di lavoro, poi le denunce». Quando l’inchiesta giudiziaria parte, il palazzo di via Roma viene scosso come da un sisma: i racconti della Piredda vengono verificati, carabinieri e Finanza raccolgono i documenti negli uffici dei due gruppi Insieme per la Sardegna e misto. Ci sono i riscontri, si scopre che gli onorevoli sardi hanno uno strano rapporto col denaro pubblico. Nel senso che lo spendono liberamente, senza neppure spiegare come.

Costi pazzi. Il pm Cocco ha richiamato alcuni casi agli atti del processo, la testimone-chiave ha confermato punto per punto: «Il solo che provava a rendicontare era Marracini». Però di Marracini è spuntata la ricevuta di un hotel milanese, camera doppia a cavallo di Capodanno, addebitata sul conto del gruppo misto. C’è poi il caso di Giuseppe Giorico («era il più sfacciato - ha detto Ornella Piredda - non giustificava nulla, proprio nulla») e la disinvoltura diffusa tra gli altri onorevoli, distratti quando si trattava di spiegare come avevano speso i fondi del gruppo. È stata poi l’inchiesta giudiziaria a mettere in luce quella che sembrava essere una consuetudine quasi generale, almeno - stando agli atti d’accusa - fino alla quattordicesima legislatura. Con la Piredda che da persona sgradita alla politica spendacciona diventa l’eroina nazionale della legalità.

La prossima udienza. L’esame finisce poco dopo le 14 ma andrà avanti il 6 giugno. Va affrontata sino in fondo la vicenda privata di Piredda, lo scontro con Atzeri sfociato - per l’accusa - in reati gravissimi come maltrattamenti, abuso d’ufficio e lesioni personali. Subito dopo l’ex funzionaria dei gruppi politici sarà controesaminata dai difensori ed è qui, in questa fase del dibattimento, che potrebbero saltare fuori sorprese. Il contraddittorio coi difensori potrebbe essere il terreno ideale perché altri brandelli di verità vengano alla luce.

Maninchedda. Ieri è tornato in tribunale Paolo Maninchedda, l’attuale assessore regionale ai lavori pubblici, che nella legislatura Soru fece parte anche del gruppo misto. È uno dei pochi senza ombre: non ha preso un centesimo dalle casse del gruppo.

Ma da teste dell’accusa ha dovuto affrontare un match con l’avvocato Francesco Piras, difensore di Beniamino Scarpa. Non ha ceduto d’un palmo («avvocato, non parli di rimborsi perché non ne ho preso») e ha confermato come almeno a lui fosse chiara una cosa: il denaro pubblico si spende solo per le ragioni previste dalla legge.

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