La Nuova Sardegna

Veleni di Quirra, il pm: «Generali e periti siano processati»

di Valeria Gianoglio
Veleni di Quirra, il pm: «Generali e periti siano processati»

Lanusei, Fiordalisi ha ribadito la richiesta di rinviare a giudizio i venti indagati responsabili a vario titolo di aver consentito la convivenza tra attività militari potenzialmente pericolose, pastorizia e agricoltura senza le indispensabili cautele

19 giugno 2014
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LANUSEI «Signor giudice, non tolga ai pastori e ai lavoratori del poligono la possibilità di avere un processo e con esso una risposta di giustizia. Perché lì, al poligono, c’è una situazione insostenibile che richiede una risposta di giustizia. Per questo chiedo che gli indagati vengano tutti rinviati a giudizio. E chiedo anche che vengano trasmessi gli atti in Procura per il reato di cui all’articolo 373 (falsa perizia, ndr) per le dichiarazioni rese dal perito Giorgio Trenta due anni fa davanti alla commissione d’inchiesta del Senato».

Sette ore di scontro in aula. Dopo due anni di udienza preliminare, e uno di perizia disposta dal gup, la stretta finale sul caso Quirra arriva alle 18 di ieri. Arriva con le richieste conclusive del pm Domenico Fiordalisi, e dopo sette ore e mezzo di udienza sfiancante che è andata avanti tra botta e risposta tra accusa e perito, tra i mugugni del folto pubblico in aula, tra le riprese delle telecamere e i primi tuoni che dall’esterno preannunciavano la pioggia torrenziale, anche se per fortuna solo temporanea.

Chiuso l’incidente probatorio.Sono circa le 16 quando il gup Nicola Clivio, dopo aver ascoltato con attenzione la superperizia dell’esperto da lui incaricato, Mario Mariani, dichiara chiuso l’incidente probatorio che di fatto congela la perizia e la eleva al rango di prova in un eventuale processo, e spiazza tutti riaffidando la parola a Fiordalisi per la seconda e ultima tranche della discussione. Perché una prima tranche c’era già stata, prima della fase di incidente probatorio. Sarà che gioca in casa, sarà che è circondato dai suoi collaboratori più fidati e dal capo della squadra mobile di Nuoro, Fabrizio Mustaro, che con lui ha seguito l’inchiesta, ma l’ex procuratore capo di Lanusei, non si fa cogliere di sorpresa.

Il pm all’attacco. Sin dall’esordio dell’udienza di ieri, del resto, aveva sventolato alcuni fogli con 11 punti dei quali voleva chiedere conto al superperito Mariani. In parte, glieli pone anche, ma i colpi finali li riserva per la sua discussione. Due ore circa di ricostruzione dell’inchiesta, dove, come ci si aspettava, si concentra in gran parte nel tentativo di smontare, punto per punto, il lavoro dell’esperto incaricato dal gup. E nel farlo non lesina i toni decisi, il pm Fiordalisi. Ma come primo punto, la pubblica accusa, tiene a precisare un dato. «Nessuna precauzione». «Qui, signor giudice – spiega – stiamo discutendo non tanto della presenza o meno di qualche sostanza, quanto del dovere giuridico che i militari, ovvero i padroni di casa, avevano nell’apporre recinzioni, cartelli, avvisi che informassero tutti, e in particolare i pastori che facevano pascolare il loro bestiame, della situazione di pericolo potenziale. Nessuna di queste precauzioni, invece, è stata mai adottata. E così, col tempo, si è finito per consentire il pascolo di 15mila animali, in parte abusivi, la presenza di stalle, la presenza di pastori, che sono lavoratori come tutti gli altri, in un terreno dove erano esposti a un pericolo perché lì si conducevano attività militari, si facevano brillare le munizioni obsolete di tutta Italia, si interravano rifiuti di ogni genere vicino ai corsi di acqua che poi finivano nelle case». I metodi non corretti. Il procuratore, insomma, batte molto su questo punto e in buona sostanza, dopo aver contestato i metodi utilizzati da Mario Mariani, e averli qualificati più o meno alla stessa stregua di quelli utilizzati da alcuni degli attuali indagati, spiega anche che in ogni caso, per lui il reato non è legato tanto alla presenza o meno di sostanze nocive – che il perito non ha trovato – ma è legato al semplice rischio che queste siano presenti. La situazione di pericolo. Perché questo rischio configurava una situazione di pericolo, e questa situazione di pericolo avrebbe comportato che i militari avessero messo in atto diverse precauzioni. Tradotto nel linguaggio giuridico, per il procuratore, il nocciolo di tutto è l’articolo 437 del codice penale, ovvero la “rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”.

A Fiordalisi, insomma, non stupisce che il perito Mariani non abbia trovato uranio, torio, o altre sostanze pericolose. In parte, spiega, perché secondo il procuratore ha utilizzato i metodi sbagliati per cercarle, in parte perché alcune di quelle sostanze, a distanza di tempo, sparivano per effetto dei fenomeni atmosferici. Oppure erano disperse dall’aria. «Valutazioni a bocce ferme». «Le valutazioni del perito – spiega poi Fiordalisi – sono state fatte a bocce ferme, cioè a poligono spento. Mentre invece ciò che per noi è rischioso è l’inalazione delle polveri che si sollevano dopo le esplosioni». E c’è un altro punto della superperizia che proprio a Fiordalisi non va giù, perché lo ritiene l’errore degli errori. «Nessun prelievo a Is Pibiris». «Mariani – dice – non ha fatto un solo prelievo nella zona del poligono chiamata Is Pibiris. Su questo la perizia ha glissato. Eppure in quell’area c’era una discarica di materiali pericolosi, e da lì partiva un’asta fluviale che arrivava alle case. Oggi il perito ci ha detto che in quella zona non ha fatto prelievi». Qualche ora prima, il superperito aveva spiegato perché. «Is Pibiris? – aveva risposto al pm – non ricordo, ma ero con un suo consulente, Farci, avrebbe potuto dirmelo. Tutti i campionamenti, del resto, sono stati fatti alla presenza di qualche consulente di parte. E questo lo voglio ribadire». Ma Fiordalisi, in sede di discussione, proprio su quel punto, riparte all’attacco. «A Is Pibiris – dice – la recinzione ce l’hanno messa solo adesso, avrebbero dovuto metterla prima. Perché lì, così come nella zona brillamenti e in altre, c’è sempre stata una situazione di pericolo che avrebbe dovuto far scattare una serie di doveri. È il principio del buon padre di famiglia, che il poligono non ha rispettato.

«I pastori danneggiati». «Non si può conciliare l’attività militare con la pastorizia – dice in conclusione il procuratore – il poligono non ha rispettato invece il principio di cautela. Per questo chiedo che gli indagati vengano tutti rinviati a giudizio. Esiste la prova che i pastori abbiano corso un concreto pericolo. Alcuni di loro sono anche morti. Per questo, signor giudice, le chiedo di non togliere anche a loro la possibilità di ottenere una risposta di giustizia ». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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