E per don Tarcisio la convivenza è ancora un peccato mortale
Il parroco di Camerino, la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica e la fragilità della condizione umana
«Non c'è limite al peggio». Questo è il primo banale pensiero, un luogo comune trito e ritrito, che mi è venuto in mente quando ho saputo dell'infelice frase del parroco di Camerino. Don Tarcisio, nell'usuale bollettino rivolto alle famiglie durante la messa domenicale, ha tenuto ad avvisare i fedeli con le seguenti parole: «L'omicidio è un reato occasionale dal quale si può uscire solo attraverso un pentimento sincero e il proposito vero e ferreo di allontanarsi dal peccato; la convivenza invece è continuativa». Infine, ha ribadito, nel caso il concetto non fosse stato sufficientemente chiaro: «La convivenza è un peccato grave, mortale». Così, mentre finisco di piegare le mie e le sue magliette e le sistemo in modo estremamente peccaminoso nel nostro armadio in comune; mentre cucino il sugo che piace a lui, sperando di vederlo sorridere dei miei fallimenti culinari al rientro dal lavoro; mentre al mattino mi bacia la fronte per salutarmi, mi ricorderò di stare compiendo un "atto mortale". Sia chiaro, mi sta bene che un parroco si limiti a ribadire la posizione ufficiale della chiesa cattolica, mi sta bene che parlando ai fedeli voglia giustamente apparire come un capolavoro di coerenza, ma il paragone mi è sembrato azzardato e tutto fuorché umano.
E nonostante anche il vescovo di Novara, dopo un iniziale e lungo silenzio, abbia preso le distanze dalle frasi del parroco, definendole un «paragone inaccettabile», l'imperturbabile don Tarcisio non si è smosso di un millimetro, tornando sull'argomento per ribadire il concetto di «continuativa e reciproca infedeltà» come sinonimo di convivenza. Solo in uno spiraglio di umanità, e chiaramente dopo il polverone mediatico, ha bofonchiato: «Forse potevo fare un altro esempio». Resto curiosa di sapere in quale modo un uomo di chiesa possa sapere cosa significhi realmente essere fedeli a un compagno, dal momento che i rapporti, una volta poggiata la fede sul comodino, sono uguali per tutti, nella loro dura e splendida complessità. Ma in fondo, pur senza sacramenti e senza comunione, senza catechismo due volte a settimana e senza le domeniche in chiesa, so bene che siamo fallibili e pieni di contraddizioni proprio perché siamo umani. Quindi caro Don, «io la perdono» per questa frase infelice. E e lei perdonerà me?