La Nuova Sardegna

UNA LEZIONE DI GRANDE DEMOCRAZIA

di LUCIANO MARROCU

di LUCIANO MARROCU Se a vincere nel referendum scozzese, come sembrerebbe dagli exit polls, risulteranno i No, saranno in molti a tirare un sospiro di sollievo. Non solo, come è ovvio, lo farà chi...

19 settembre 2014
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di LUCIANO MARROCU

Se a vincere nel referendum scozzese, come sembrerebbe dagli exit polls, risulteranno i No, saranno in molti a tirare un sospiro di sollievo. Non solo, come è ovvio, lo farà chi vuole che la Scozia continui a far parte del Regno Unito. Anche qualcuno tra i fautori dell’indipendenza (c’è chi dice lo stesso primo ministro scozzese Alex Salmond) potrebbe accogliere senza eccessiva delusione una vittoria del No, una volta che il Sì abbia superato la soglia del 45 per cento. Si è detto che nulla sarà come prima dopo questo referendum, che, comunque vada, avrà dimostrato l’esistenza una larghissima percentuale di scozzesi favorevole all’indipendenza. Facendo capire, inoltre, che sul terreno dell’autogoverno è possibile ottenere risultati significativi con metodi pacifici e costituzionali. In molti hanno prefigurato un effetto domino nel caso di una vittoria del Sì ed è indubbio che i molti e variegati indipendentismi di cui è ricca l’Europa trarrebbero forza da una (per ora, lo ripetiamo, improbabile) vittoria dei Sì. Se però una qualche lezione si pensa di trarre dall’esperienza dell’indipendentismo scozzese, non si trascuri l’esempio di un paese intero capace di discutere compostamente una materia in altri contesti capace di generare divisioni e ferite profonde. La lezione più importante che viene dalla Scozia è appunto questa, che l’indipendenza non è più faccenda di suolo e sangue (di sangue che va alla testa, magari) come nell’epoca d’oro dei nazionalismi. È una ipotesi, l’indipendenza, che si deve misurare con altre, su cui occorre ragionare e della cui validità bisogna convincere anche chi non è convinto. Evitando tra l’altro che lungo questo percorso si creino fossati che poi risulteranno insuperabili. Un gruppo di esponenti del Psd’Az si sono recati in questi giorni in Scozia a seguire i momenti finali della campagna referendaria. Sarà interessante sentirli al ritorno e capire se hanno tratto una qualche lezione dal referendum scozzese. Che la Sardegna poco assomigli alla Scozia è fin troppo evidente. Né il suo rapporto con l’Italia ha molto a che fare con quello tra Scozia e Regno Unito. Eppure alcuni dei problemi che l’indipendenza della Scozia porrebbe ai suoi stessi abitanti non sono diversissimi da quelli che avrebbe una Sardegna indipendente. La quale, per altro, non ha a sua disposizione le risorse economiche che un paese di antica industrializzazione (e che di recente si è scoperto galleggiare sul petrolio) può vantare. Forse l’essere italiani non presenta gli stessi “tremendi vantaggi” che, a sentire i sostenitori del No, presenta l’essere britannici. Eppure qualcosa vuol dire per noi sardi aver attraversato dentro quel non disprezzabile contenitore che è stato l’Italia centocinquanta anni di storia, di lotte, di sofferenze, di guerre, ma anche, negli ultimi settanta, di progresso economico e di avanzamento civile. Nè, su un altro terreno, si vede bene quali vantaggi verrebbero ai sardi dall’affidarsi, in maniera esclusiva, alle élites politiche locali che non mi pare abbiano sino ad ora dato una migli. ore prova di sé di quelle nazionali. Se c’è una cosa che la Scozia del referendum sull’indipendenza ci può insegnare è a non drammatizzare e, anche in contese come queste che toccano corde delicate ed emotive, a saper guardare le ragioni degli altri. Molti inglesi si sono rivolti ai loro concittadini scozzesi chiedendo loro di votare per l’unità e sostenendo di non riuscire a pensare a una Gran Bretagna a cui manchi la Scozia e gli scozzesi. Potrebbe essere questo forte sentimento d’inclusione, e non i difficili calcoli economici dall’una e dall’altra parte, a decidere alla fine il risultato.

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