La Nuova Sardegna

Nell’inferno di Lagos l’Africa senza più speranza

di Alessandro Marongiu
Nell’inferno di Lagos l’Africa senza più speranza

“Ogni giorno è del ladro”, da Teju Cole un racconto di lancinante bellezza Lo sconvolgente ritorno in patria di un nigeriano trapiantato a New York

29 settembre 2014
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“Ogni giorno è per il ladro, ma uno è per il padrone” recita un proverbio degli Yoruba, ovvero di quel gruppo etno-linguistico concentrato principalmente in Nigeria cui appartengono circa trenta milioni di persone.

È proprio da qui che parte Teju Cole per il titolo del suo secondo libro, «Ogni giorno è per il ladro» (Einaudi, 146 pagine, 16 euro), opera lancinante che costringe anche il lettore più distante, come potrebbe essere quello occidentale, a fare i conti con la realtà complessa, terribile ma non priva di spiragli di luce, dello Stato dell’Africa occidentale.

Il protagonista, anche voce narrante, rientra nel suo Paese quindici anni dopo essersene allontanato, quasi all’oscuro di tutti, a seguito della morte del padre e del deterioramento dei rapporti con la madre. A New York ha studiato per diventare medico, ma soprattutto ha conosciuto l’esistenza di un mondo completamente diverso da quello da cui proviene, in cui la corruzione alla luce del sole non è l’elemento dominante di ogni ambito della vita pubblica, in cui i divari sociali possono essere vari e sfumati, in cui del passato, della storia e della cultura si sa anche tenere in gran conto. La Lagos che ritrova, simbolo di tutta la nazione, è ben peggio di come l’aveva lasciata, quasi un inferno in Terra: ma è pur sempre la sua Lagos, e quella è pur sempre la sua nazione, la sua gente. Non gli resta che interrogarsi sullo stato delle cose, allora, e provare a decifrarlo chiacchierando con gli abitanti della metropoli, girando per strade e musei, parlando con la coppia di zii e con gli amici di un tempo che lo riaccolgono con gioia dopo tre lustri. Quello che ne esce è un libro in cui romanzo, cronaca, reportage e testimonianza si fondono mirabilmente; una narrazione in diciannove capitoli in cui a una cruda e spesso affranta osservazione della realtà si alternano momenti carichi di emozione, talvolta virati alla visionarietà, come in questo passo: «È una via stretta, lunga meno di centocinquanta metri, ed è piena di barche. Le barche sono in deposito, le prue spuntano da ciascuno degli edifici da un lato del vicolo, quasi tutti a due o tre piani. Al di là degli edifici, c’è un muro di cemento dietro tre alberi imponenti. Il muro corre lungo il vicolo e sotto gli alberi ci sono dei bambini che giocano. Una donna rimesta una gran pentola di fagioli. Mentre avanzo nella stradina, o meglio vengo trascinato da qualcosa, come dalla forza della marea che si ritira, vedo che le sagome che spuntano dalle case non sono prue di barche. Sono bare, decine di bare, di varie dimensioni e in diversi stadi di completamento.»

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