La Nuova Sardegna

La procura: «Uccisi lo zio e il nipote, infliggete 3 ergastoli»

di Pinuccio Saba
La procura: «Uccisi lo zio e il nipote, infliggete 3 ergastoli»

Processo a Sassari, il pubblico ministero non ha dubbi: Manca e Canu i mandanti, Brundu uno degli esecutori

17 ottobre 2014
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SASSARI. La richiesta del pubblico ministero Carlo Scalas era praticamente scontata: ergastolo per Salvatore Brundu, Giovanni Manca e Giovanni Antonio Canu, tutti di Buddusò. Il primo perché ritenuto uno dei componenti del commando che la mattina del 29 aprile del 2011 aveva ucciso Antonio Bacciu di 28 anni e lo zio Giovanni Battista di 69; Manca e Canu perché individuati quali mandanti dell'agguato dal quale si erano salvati altri due fratelli di Antonio Bacciu, Angelo di 26 e Gian Marco di 22. Il pm ha inoltre chiesto la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione per Mario e Giuseppe Canu (fratelli di Giovanni Antonio) per la detenzione di munizioni ed esplosivi. La pesantissima richiesta del pm è arrivata al termine di una requisitoria durata poco meno di tre ore, una volta che Pietro Fanile, presidente della corte d'assise di Sassari davanti alla quale si celebra il processo, ha dichiarato chiuso il dibattimento. Non prima, però, che gli imputati presenti in aula - mancava solo Mario Canu - facessero una dichiarazione spontanea con la quale hanno ribadito la totale estraneità ai fatti a loro addebitati.

Il movente. Il pm Carlo Scalas ha illustrato a lungo le ragioni che avrebbero portato all'agguato di tre anni fa: le mire di tre famiglie (Bacciu, Canu e Manca) sull'ovile di Bidorosu, nelle campagne di Buddusò. Un ovile situato in un territorio comunale, condotto per decenni da un altro allevatore che però aveva deciso di andarsene in pensione. Uno "spazio vuoto" che poteva essere riempito solo facendo ricorso alla legge del più forte oppure a chi arriva per primo. E per primo era arrivato Giovanni Manca che aveva anche presentato una formale richiesta all'amministrazione comunale di Buddusò. Da quel momento in poi (si era alla fine del 2010) i rapporti fra i Bacciu e i Manca, già deteriorati da alcuni anni, si trasformano in "disamistade". Minacce, dispetti, furti di bestiame e danneggiamenti sono quasi la norma. Da entrambe le parti perché, come ha sottolineato ieri il pm «neanche i Bacciu sono molto diplomatici». Fino a quando una fucilata viene esplosa contro la porta dell'ovile di Giovanni Manca. Una dichiarazione di guerra, secondo il pm Carlo Scalas.

Le indagini. I sospetti cadono subito su Giovanni Manca e Giovanni Battista Canu, oltre che a un elenco di possibili sicari e mandanti. Ma Canu e Manca hanno un alibi inattaccabile. Un po' meno quello di Salvatore Brundu che all'ora del delitto era in campagna a tagliar legna. Uscito alle 6.30, era rientrato un'ora dopo ma un testimone ha spiegato - anche in aula - che la stagione della legna termina il 31 marzo. Vengono esaminate anche altra piste che però non portano a nulla. E si mettono sotto controllo i componenti delle famiglie Manca e Canu. Intercettazioni telefoniche e ambientali che, secondo l’accusa, farebbero chiarezza su quel duplice delitto. Come in quell'intercettazione ambientale nella quale uno degli indagati, rispondendo alla precisa domanda di un altro familiare, dice che a sparare è stato "Barore Chiù", soprannome di Salvatore Brundu. Intercettazioni che proseguono anche dopo l’arresto degli (allora) indagati. E così un detenuto del carcere di San Sebastiano racconta che il compagno di cella (Brundu), per spiegare la propria carcerazione, afferma di esser stato riconosciuto da una delle mancate vittime. Per il pm, abbastanza per arrivare alla condanna all’ergastolo.

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