La Nuova Sardegna

Il lavoro che non c’è e i nuovi disagi: cresce l’emergenza

di Pier Giorgio Pinna

Conferme negative: peggiorano tutti gli indicatori Anziani in aiuto dei giovani, donne sempre più penalizzate

07 dicembre 2014
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SASSARI. Senza lavoro, sfiduciati, dipendenti dagli aiuti dei familiari. Gli ultimi dati raccolti dal Censis confermano il disastro sociale nel quale sono precipitati moltissimi sardi. Soprattutto ragazze, giovani e donne. Sempre più privati di vere prospettive: senza vie d'uscita, o quasi, da disoccupazione e sottosviluppo. Il rapporto annuale sulla situazione italiana fotografa l'isola tra i fanalini di coda, in posizione arretrata nel quadro di un Meridione che è già di per sé contrassegnato da fattori recessivi molto più marcati rispetto a diverse zone del Centro e a quasi tutto il Nord. Una radiografia spietata, che non lascia spazio a speranze o illusioni, come rivelano direttamente e indirettamente parecchi indicatori di analisi utilizzati dal Censis.

Le pensioni. Nell'isola costituiscono una delle poche fonti di reddito certo. All'inizio dell'anno quelle di vecchiaia erano circa 60mila, di anzianità 37mila, d'invalidità 38mila, di reversibilità 61.451. In totale, oggi sono quasi 196mila, pari al 2,2% del monte complessivo nazionale. Tutto a fronte di una popolazione di un milione e 600mila abitanti e di una forza lavoro che continua a virare pericolosamente verso il basso. Appare così molto chiaro come i pensionati, ancora una volta, contribuiscano a a sostenere parenti e familiari in difficoltà nell’isola, soprattutto tra le nuove generazioni.

Insicurezze diffuse. Non è quindi un caso che nel dossier redatto dal Censis (il numero 48 da dopoguerra, quasi 600 pagine) la Sardegna abbia registrato sin dal 2013 indicatori d'incertezza socio-economica molto pesanti e distribuiti un po' in tutti i territori. Un esempio? La percentuale di dipendenti con una retribuzione oraria inferiore a due terzi della media nazionale: 12,2%, di fronte a regioni come la Lombardia, il Veneto, il Trentino o il Friuli dove questa percentuale è nettamente più bassa e oscilla tra il 6,9 e il 7,7.

Precari. C'è poi ilsegnale dato dagli occupati a tempo determinato e dai collaboratori che hanno iniziato un lavoro da almeno 5 anni: l'isola è al 16,8%, contro l'11,7 dell'Umbria. Ma in questo caso ci sono altre aree del Paese dove le percentuali sono ancora maggiori.

Occupazione. Significativo il dato circa la percezione d'incertezza sul lavoro. In Sardegna è pari al 14%. Altrove, in Liguria, Valle d'Aosta e Alto Adige, decisamente inferiore. C'è poi il tasso di mancata partecipazione al lavoro delle donne, età considerata fra i 15 e i 74 anni. Da questo punto di vista, il divario si fa davvero incolmabile. L'isola si colloca al 35,4%. Doppia in termini negativi molte aree del Settentrione. Strettamente collegato, il tasso di disoccupazione femminile: 17% contro il 9,1 del Friuli, il 6,5 del Trentino, l'8,8 della Lombardia. Su questo versante le sarde sono superate in peggio solo da poche altre italiane: siciliane, calabresi, campane, pugliesi. Ultimo indicatore: il tasso, più volte già evidenziato negli ultimi mesi da sindacati e da altri istituti di ricerca, dei senza lavoro fra i 25 e i 34 anni. È il 29,2%. Contro una media dell'11,1% del Nord Italia e del 15% del Centro.

Il contesto. Eloquente nella sua drammaticità la cartina pubblicata dal Censis a pagina 371 del report. Elaborando dati di Istat, Infocamere e Bankitalia la fondazione presenta un'Italia che marcia a velocità estremamente differenziate. In questo quadro l'isola è contraddistinta da "potenzialità rurali a basso tenore di crescita" e da gravi squilibri di carattere socio-economico. Tutti elementi che la portano ben lontano da quelle che il Censis descrive come "aree del benessere maturo": Valle d'Aosta, parte di Piemonte e Liguria, Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.

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