La Nuova Sardegna

«Mesina? Serve una perizia psichiatrica»

«Mesina? Serve una perizia psichiatrica»

Al processo per traffico di droga l’ex amico Gigino Milia accusa l’ex ergastolano: inventa conoscenze e reati

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CAGLIARI. Lui, Graziano Mesina, non c’era. Nell’aula del tribunale però è come se fosse risuonata la sua voce perché il pm Gilberto Ganassi ha richiamato una registrazione ambientale dove l’ex ergastolano si lascia andare ad uno dei suoi sproloqui dal contenuto sorprendente, che gli sono costati anche guai giudiziari recenti. Quanto basta perché l’ex socio ed ex amico Gigino Milia, che da tre udienze al processo per traffico di droga risponde alle domande del pm Gilberto Ganassi, scatenasse la sua ira contro l’ormai appannata icona del banditismo sardo antico e recente. Uno sguardo fugace al difensore di Mesina, Maria Luisa Vernier, e subito dopo una valanga di apprezzamenti dal taglio anche ironico: «Graziano? Ma io mi domando com’è che i suoi avvocati non hanno ancora chiesto una perizia psichiatrica. Io lo conosco da tanto, si vede che dopo 44 anni di galera non ragiona più». Milia ha parlato con l’espressione tesa di chi prova un profondo fastidio, ha dato la chiara impressione di voler buttar fuori un rospo mai digerito: «Mesina è un buffone, un millantatore, si vanta di amicizie che non ha e di reati che non ha commesso soltanto per farsi bello. E’ malato, gravemente malato di protagonismo». In questo caso poi l’ex latitante avrebbe scavato su vicende molto datate, arricchendole con un tocco di fantasia: «Vuol far credere che sa tutto di me - ha insistito Milia, rivolgendosi direttamente al presidente Massimo Poddighe - ma in realtà inventa, non è lucido, spara a casaccio».

Ma qual è l’origine di questa requisitoria sprezzante, rivolta a minare la credibilità già precaria del vecchio ergastolano di Orgosolo? Nella conversazione intercettata Mesina parlava di Milia e la diceva grossa: stando alle sue parole in una serata indefinita l’ex socio in affari sarebbe stato seduto al tavolo di un ristorante di Nuoro insieme ai Madonia, padre e figlio. Come dire: criminali riconosciuti, personaggi chiave del mondo mafioso. Che cosa ci faceva Milia - chiede Mesina all’interlocutore Francesco Piras - con quella gente? Ma è qui che Milia si è scatenato, negando con decisione: «Se fossero stati i Madonia li avreste arrestati e sarebbero qui con me, in tribunale. Invece è falso, quello che ha detto Mesina non è vero, io non ero coi Madonia e loro non erano neppure in Sardegna». Ma allora perché? Quale sarebbe la ragione che ha spinto Mesina a raccontare a Piras di quel fantomatico incontro tra Milia e i due esponenti della criminalità organizzata? «La verità è un’altra – ha spiegato Milia, citando un altro vecchio episodio – ed è che non ho voluto Graziano al mio tavolo, ho chiesto che non lo facessero neppure entrare». Sarebbe dunque lo sgarbo ricevuto dall’ex amico ad aver indotto Mesina a buttare giù una storia priva di fondamento, che però è finita nel calderone del processo per traffico di droga e ha pesato sulla già difficile posizione processuale di Gigino Milia.

Ma c’è dell’altro: Milia ha chiesto al pubblico ministero di ascoltare con attenzione un’altra conversazione intercettata in cui Mesina parla di Mario Tidu, il capo della terribile banda criminale cagliaritana di Is Mirrionis, responsabile di vari omicidi: «Ci voglio parlare, con quel Mario Tidu» avrebbe detto l’ex latitante orgolese, sempre a Piras. Peccato che Tidu sia in carcere da quasi vent’anni per scontare l’ergastolo e che all’epoca in cui Mesina lo cita fosse nella sua cella esattamente come adesso. Un esempio non casuale, citato da Milia, per dimostrare quale sia l’attendibilità del vecchio bandito barbaricino. Con Milia e Mesina sono imputati Corrado Altea, Franco Pinna, Efisio Mura, Enrico Vinicio Fois e Luigi Atzori. Il dibattimento davanti al tribunale andrà avanti il 26 novembre. (m.l)

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