La Nuova Sardegna

Le cose semplici da prendere sul serio Omaggio ad Angioni

di FRANCESCO BACHIS e ANTONIO M. PUSCEDDU
Le cose semplici da prendere sul serio Omaggio ad Angioni

Pubblichiamo l’introduzione di Francesco Bachis (dell’ università di Cagliari) e di Antonio Maria Pusceddu (dell’università di Barcellona) al volume da loro curato: “Cose da prendere sul serio. Le...

23 dicembre 2015
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Pubblichiamo l’introduzione di Francesco Bachis (dell’ università di Cagliari) e di Antonio Maria Pusceddu (dell’università di Barcellona) al volume da loro curato: “Cose da prendere sul serio. Le antropologie di Giulio Angioni” edito dal Maestrale.

Da tempo abbiamo ragionato – e altri abbiamo sentito ragionare – sull’opportunità di rendere omaggio a Giulio Angioni con una raccolta di scritti, come è usuale fare nelle grandi o piccole comunità di studio e ricerca che si formano negli ambienti universitari. Nel ragionarci abbiamo però ritenuto altrettanto opportuno non cedere alla tentazione celebrativa, per cogliere invece un’occasione di discussione di temi e problemi che potessero offrire un contributo di riflessione. Quindi non solo memorie, ricordi e scritti di circostanza, ma «cose da prendere sul serio», come quelle con cui l’antropologo (ma anche il narratore) che intendiamo omaggiare con questo libro, ha cercato – e ancora cerca – di fare i conti per una vita intera. Inutile osservare che per operazioni di questo genere occorre avere un pretesto.

Un libro fondamentale. Noi lo abbiamo trovato – o lo abbiamo voluto trovare – in un libro di Angioni,. “Rapporti di produzione e cultura subalterna. Contadini in Sardegna”, che ha compiuto quarant’anni nella veste editoriale che conosciamo. Ci è sembrato utile rileggerlo, sia perché oramai di difficile reperibilità, sia perché i problemi e le chiavi di lettura che propone sono in qualche modo utili, ancora oggi, per pensare e leggere il presente. Inoltre, il fatto che un libro del genere, proiettato più di altri libri di Angioni, nel tentativo di guardare al futuro, di rendere operative le piste conoscitive in un processo di trasformazione, abbia conosciuto meno fortuna del suo libro gemello “Sa laurera”del 1976, maggiormente ancorato ad un progetto di documentazione e sistemazione dell’ergologia tradizionale nelle campagne sarde, ci è sembrato ugualmente un buon motivo per riproporne la rilettura.

Contadini e lavoro. Non tutti coloro che partecipano a questo volume avranno avuto occasione di rileggerlo (molti l’hanno letto in passato, altri probabilmente più di recente), ma diversi lo hanno ripreso in mano con la deliberata intenzione di trarne utili riflessioni per il presente o per incoraggiare una sua lettura nel presente. Il volume “Rapporti di produzione e cultura subalterna. Contadini in Sardegna”, edito dall’Edes nel 1974 (e ristampato una sola volta nel 1982), rappresenta una tappa fondamentale del percorso scientifico dell’autore. Oggetto del libro sono i rapporti di produzione e le concezioni del mondo dei contadini di una regione della Sardegna meridionale, studiati in una prospettiva storico-antropologica, attraverso gli strumenti di analisi del materialismo storico, in cui dialogano approcci marxisti di orientamento strutturalista – «forse etichettabili genericamente come althusseriani» e lo storicismo marxista di ascendenza gramsciana.

Nel libro si esplicita una cifra di ricerca che ritornerà più volte nella produzione dell’antropologo sardo. Sulle canoniche pratiche di documentazione empirica, debitrici delle forme rigorose di inchiesta demologica che erano andate formalizzandosi a Cagliari intorno alla figura di Alberto Mario Cirese, si innesta, infatti, una attitudine autobiografica, generalmente indicata come “antropologia a casa”, almeno nelle tradizioni maggiormente orientate allo studio dei contesti extraeuropei.

Questa dimensione viene esplicitamente richiamata dall’autore in una breve nota di apertura: «Le ricerche dirette e le riflessioni, di cui questo libro è un frutto, hanno anche un’origine di carattere autobiografico che ritengo doveroso dichiarare, perché elemento rilevante del modo di dispormi di fronte ai fenomeni osservati e del modo di analizzarli e di riproporli».

Un mondo da prendere sul serio. Rileggendo queste pagine ci è tornato alla mente quanto Angioni ha richiamato, più volte nel corso del tempo, circa la sua ‘scoperta’ della demologia e della antropologia culturale. Giovane studente universitario di origini contadine, rimase positivamente stupito dal fatto che le due figure che avrebbero rappresentato i punti di riferi mento della sua formazione accademica, Ernesto De Martino e Alberto Mario Cirese, si occupassero scientificamente di fatti, usanze, pratiche e idee del mondo dei contadini. Prendessero, insomma, sul serio un mondo concepito da alcuni e vissuto da tanti come un passato da abbandonare senza tanti rimpianti o, al contrario, oggetto di idealizzazioni arcadiche, debitrici della diffusione a livello di intellettualità locale dei cascami tardo ottocenteschi dei tanti nipotini del padre Bresciani.

Lo stupore del giovane studente, nel sentire il mondo contadino – allora nel pieno di una trasformazione epocale o «apocalisse culturale» – “preso sul serio”, non era evidentemente condiviso da tanti, anche dentro l’università. Al punto che, secondo uno dei miti di fondazione di quella che tal- volta anche ad Angioni è parso ragionevole chiamare “Scuola antropologica cagliaritana”, uno dei principali ostacoli all’introduzione dell’antropologia culturale nell’ateneo sardo non fu soltanto la parola “antropologia”– che allora era per antonomasia quella fisica – ma i temi e i terreni di ricerca. Così si racconta di un irato professore che non accettava che il “mal di pancia” assurgesse a oggetto di ricerca da prendere sul serio quanto e come le liriche di Leopardi.

Due decenni di studi. Nel 1973, il trentaquattrenne Giulio Angioni licenzia Rapporti di produzione... come «un primo saggio di documentazione e di delineazione dei temi e dei problemi in cui tale ricerca si muove e che da essa vanno emergendo» (1974).

Il volume, che andrà in stampa l’anno successivo e utilizza ampiamente materiali già pubblicati altrove, negli anni immediatamente precedenti, presenta il parziale bilancio di un percorso pluriennale di ricerca, proseguito, per fasi alterne, fino al 1972. La fase di maturazione dell’interesse «per la vita delle campagne», era cominciato nell’inverno dell’anno accademico 1961-62, «quando avevo la possibilità di seguire all’Università di Cagliari l’insegnamento di Ernesto De Martino e di Alberto Mario Cirese».

Si apre così un percorso di studio e documentazione del mondo contadino e pastorale della Sardegna che attraversa quasi due decenni, per concludersi con la pubblicazione de I pascoli erranti, 1989. Nel mezzo ci sono altri due importanti volumi, il primo, Sa laurera. Il lavoro contadino in Sardegna (1976), a completamento di Rapporti di produzione e cultura subalterna, il secondo, Il sapere della mano. Saggi di antropologia del lavoro (1986), primo contributo, in Italia, di riflessione strutturata intorno all’antropologia del lavoro.

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