La Nuova Sardegna

Uccise la compagna e la nascose nel freezer, Giulio Caria sconterà trent'anni

La rimozione del cadavere di Silvia Caramazza
La rimozione del cadavere di Silvia Caramazza

L’uomo, originario di Berchidda, condannato in appello per il delitto del giugno 2013 a Bologna. Colpì più volte la donna, poi fece a pezzi il cadavere

31 marzo 2016
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BOLOGNA. Uccise la compagna, fece a pezzi il cadavere e lo nascose dentro un freezer a pozzetto. Nessun dubbio sulla colpevolezza di Giulio Caria, 37 anni, muratore di Berchidda: la corte d’appello di Bologna ha confermato la condanna a 30 anni stabilita nel processo di primo grado. Il verdetto è arrivato dopo poco meno di un’ora di camera di consiglio. Caria, non presente in aula, non ha mai ammesso di avere ucciso Silvia Caramazza, la commercialista di 39 anni con la quale conviveva in un appartamento in viale Aldini, teatro dell’efferato femminicidio.

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Il delitto. Era il 25 giugno del 2013. Giulio Caria e Silvia Caramazza avevano litigato, come accadeva spesso. La donna aveva paura di lui, aveva confessato i suoi timori in un blog. Quel giorno, dice la ricostruzione dell’accaduto, il suo compagno la colpì almeno sette volte con un oggetto contundente: forse un attizzatoio da camino, che non fu mai ritrovato. Silvia morì e Caria decise di nascondere il cadavere. Lo fece a pezzi e lo chiuse in un sacco che infilò in un congelatore a pozzetto. Il delitto fu scoperto due giorni dopo grazie alla segnalazione di alcune amiche di Silvia che non riuscivano a mettersi in contatto con lei.

La fuga. Quando le forze dell’ordine fecero la terribile scoperta, Giulio Caria aveva già lasciato Bologna. Il muratore si era imbarcato su una nave diretta in Sardegna. L’uomo aveva deciso di tornare a casa, in Gallura. E qui, in una zona di campagna vicino a Padru, venne arrestato il 29 giugno. Da quel giorno l’uomo non ha mai lasciato il carcere.

La sentenza. Dopo due rinvii dovuti alle revoche dei difensori da parte dell'imputato, il processo di appello del “delitto del freezer” si è risolto in una mattinata. La sentenza oltre a ribadire la condanna a 30 anni di reclusione ha confermato anche i risarcimenti alle parti civili: i parenti della vittima, l'Unione donne italiane (Udi) e il Comune di Bologna. Il procuratore generale Carla Oliva, chiedendo la conferma della pena, ha parlato di «assoluta spregiudicatezza nell'allontanare Caramazza da amici, parenti e conoscenti», di una donna «isolata completamente» e di un compagno che, oltre ad aver «fatto man bassa del patrimonio di lei» approfittò «con freddezza dello stato di fragilità psichica in cui versava».

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