La Nuova Sardegna

Il padre di Masala, l’appello: «Dovete trovare Stefano»

di Nadia Cossu ; di Nadia Cossu
Il padre di Masala, l’appello: «Dovete trovare Stefano»

Dopo gli arresti: «Non dimentico l’orrore che è stato fatto a mio figlio»

29 maggio 2016
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NULE. È l’ora della «riservatezza» e del «silenzio». Ma non certo il momento di dimenticare «l’orrore che è stato fatto a Stefano». Pronuncia queste parole Marco Masala dopo l’ultimo dolore che lo ha colpito: la morte della moglie Carmela. E dopo gli arresti dei due giovani accusati di aver ammazzato suo figlio e di averne fatto sparire il cadavere.

Ma stare in silenzio non significa fermarsi, assopirsi nella sofferenza. Tutt’altro. In questo momento bisogna essere lucidi. «Non ci mettiamo a dormire, sicuro. Quello che hanno fatto a Stefano è un orrore, mio figlio merita l’onore della sepoltura e noi glielo daremo. A tutti i costi».

In questi giorni di ulteriore angoscia dopo il distacco dalla donna della sua vita, per il padre di Stefano Masala (scomparso da Nule un anno e ventidue giorni fa) non è facile parlare. Ha perso il figlio e ha perso la moglie: «Avevo tanto da imparare da lei, ma me l’hanno portata via». Il riferimento è chiaro. Chi gliel’ha portata via sono le stesse persone che gli hanno portato via il figlio.

Carmela si è ammalata dopo la sparizione di Stefano e in soli quattro mesi la malattia l’ha consumata. Giorno dopo giorno, mentre pregava perché il figlio tornasse a casa e chiedeva a chi sapeva di parlare. Marco con lei aveva ancora tanto da condividere, e più di ogni altra cosa l’attesa. «L’ho giurato a lei che lo riporterò a casa ma l’ho giurato anche a me stesso, sono il padre, glielo devo. Stefano lo cercherò ovunque, andrò nelle campagne, andrò sempre, tutti i giorni se necessario. So che non sarà facile ma gli inquirenti sanno come fare: cani molecolari, tecnologia, tabulati, celle telefoniche. Lo troveremo».

Ha la voce spezzata, stanca, ma non rassegnata. «Ora davvero ci affidiamo totalmente alla magistratura, ancora più di prima. Ci fidiamo di loro e degli impegni che hanno preso. Sanno cosa devono fare». Anche perché il procuratore e i carabinieri non hanno fatto giri di parole durante la conferenza stampa a Nuoro: «Adesso dobbiamo cercare e trovare Stefano Masala». Ecco perché il momento impone silenzio.

Nessun commento sugli arresti, sulle indagini. In questi giorni le pagine del giornale hanno rivelato retroscena sugli omicidi, particolari che la famiglia di Stefano non conosceva, dettagli difficili da accettare. Le ordinanze dei due gip di Nuoro (Mauro Pusceddu) e dei minori di Sassari (Stefania Palmas) hanno portato alla luce episodi davvero inquietanti. Dalle intercettazioni emergerebbe il coinvolgimento di Paolo Enrico Pinna e di Alberto Cubeddu nell’omicidio dello studente di Orune Gianluca Monni e nella scomparsa di Stefano Masala. Ed emerge anche che alcuni testimoni sapevano da tempo qualcosa che avrebbe magari consentito, se rivelata nell’immediatezza, di avviare subito le ricerche del trentenne di Nule. Rammarico per questo probabilmente Marco Masala lo prova ma non lo esterna: «Sì, ho letto il giornale, tutto quello che è stato scritto. Certo, fa ancora più male sapere certe cose...». Si limita a questa considerazione, le altre preferisce tenerle per sè. La ricostruzione dei giudici è un pugno nello stomaco: una trappola costruita ad hoc perché un giovane ingenuo e buono ci cadesse e mai più riemergesse.

In fondo Marco ha sempre saputo che le cose erano andate così. Conosceva suo figlio e le voci di paese arrivavano anche a lui: «Sino a ora sta andando tutto come avevo previsto – dice con un pizzico di amarezza – tutto, tranne la morte di Carmela. Quella no, non era prevista. Hanno portato via anche lei con Stefano».

Due giorni fa ha incontrato l’avvocato Caterina Zoroddu che tutela la sua famiglia. Hanno parlato della situazione, concordi sul fatto che ora bisogna attendere. «Sì, ci siamo detti che l’obiettivo è quello di cercare Stefano». Non si sa con precisione quando materialmente riprenderanno le ricerche ma l’attività sarà avviata a breve. In una zona circoscritta, forse individuata attraverso l’analisi dei tabulati telefonici degli indagati. Una cosa è certa: Paolo Pinna la mattina del delitto Monni non aveva con sè il cellulare. Lo aveva lasciato a casa, «come in ogni azione delinquenziale che si rispetti», scrive il gip nell’ordinanza. Lo aveva detto lui stesso al padrino di Stefano quando la mattina dell’8 era andato a casa sua a chiedergli se avesse visto il nipote. Lo aveva chiamato più volte al telefono ma non aveva mai ricevuto risposta. Quella del padrino è una «straordinaria deposizione» secondo il gip. Perché è proprio lui a vedere rientrare a casa Pinna in sella alla moto del cugino Cubeddu. Sua mamma era convinta fosse in camera, a letto. Ma la porta era chiusa a chiave. Il figlio non c’era. Ed è rientrato nel momento sbagliato, «con gli occhi rossi come chi non ha dormito la notte...».

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