Briatore: l’isola in mano ai monopoli, dal latte ai trasporti
L’imprenditore incontra una delegazione di allevatori a Bitti: «Sardi pastori? Non volevo offendere, ma il turismo non va»
BITTI. Come aveva promesso dopo le polemiche seguite alla frase «i sardi vogliono fare i pastori, non sanno cosa sia il turismo», Flavio Briatore, pastore di Cuneo per sua definizione, è andato a trovare i "colleghi" a Bitti, in un'azienda dove si produce latte. Ad accoglierlo, decine di pastori provenienti dal circondario (solo a Bitti, neppure tremila abitanti, vengono allevati oltre 58mila capi ovini), chiamati ad ascoltare i consigli per una migliore commercializzazione dei propri prodotti, dal latte al formaggio. Dal canto loro, gli allevatori hanno sollevato il problema del monopolio degli industriali caseari, ai quali conferiscono il latte, che quest'anno potrebbe essere pagato 60 centesimi al litro, molto meno degli anni scorsi.
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Come è andata? Se il padrone del Billionaire voleva rifarsi l’immagine dopo le parole che avevano fatto indignare mezza Sardegna, probabilmente ce l’ha fatta; e se i pastori volevano attirare l’attenzione sulla categoria insieme con un po’ di pubblicità per il territorio, anche loro qualche risultato l’hanno portato a casa. A cominciare dalla promessa di Briatore di aprire un negozio a Porto Cervo, già dalla prossima estate, dove vendere i loro formaggi, anzi un solo tipo di formaggio. Basta che non assomigli al pecorino romano: l’imprenditore lo ha trovato «immangiabile». Un allevatore ha cercato di spiegargli che è soprattutto un formaggio da grattugia, e che prima si faceva così, molto salato, ma che ultimamente risulta più dolce e gradevole anche servito a tavola. Ma Briatore – forse sulla base della dieta priva di sale che in pochi mesi gli ha fatto perdere 17 chili, come rivelano le riviste di gossip – ha spiegato che ciò che serve è un formaggio adatto ai tempi, più soave e delicato, dietetico per quanto possibile e soprattutto biologico.
Il formaggio dunque si farà, sarà ovviamente un pecorino, unirà gli sforzi e il lavoro di decine di pastori e debutterà con il marchio Mamaeoro, frutto di una collaborazione nata nel 2013 fra gli stessi pastori di Bitti, Briatore e alcune scuole dell’isola finalizzata alla creazione di un brand per i prodotti del territorio. Tempo un mese o poco più, e i pastori presenteranno una rosa di dieci formaggi dalla quale Briatore e i “buyer” che si è impegnato a portare in Barbagia (tra questi potrebbe esserci anche un rappresentante di Eataly, visti i buoni rapporti tra il suo fondatore Oscar Farinetti e il proprietario del Billionaire) sceglieranno il formaggio Mamaeoro.
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Ancora sulla frase incriminata dei “sardi pastori”. «Non volevo offendere nessuno – dice Briatore – . Dire che i sardi sono stati un popolo di pastori, come lo erano i piemontesi, non voleva essere denigratorio, soprattutto verso i pastori di oggi, tra i quali ho amici da anni. Piuttosto volevo criticare la gestione del turismo, in Sardegna e più in generale in Italia. Ciò che manca è un coordinamento: ogni regione si muove per conto proprio e spesso sbaglia. Il turismo è la prima azienda italiana, un tempo eravamo a primi posti nel mondo, nel 2023 saremo al quattordicesimo. Ci stanno sorpassando tutti. Tornando alla polemica sulla Sardegna, posso dire di essere stato testimone nel tempo di quanto poco sia stato fatto per il turismo». E i trasporti? «Sempre peggio, d’inverno la Sardegna è isolata completamente. Per andare da qualsiasi parte occorre fare uno o due scali. Sono state finanziate con fior di contributi pubblici industrie decotte e non si è mai pensato ai trasporti, alla semplice constatazione che la Sardegna è un’isola e che occorreva fare qualcosa. Anche qui, come nel caso del latte dei pastori dove il prezzo lo decidono uno o due industriali, c’è un regime di monopolio dei trasporti. Se vado a Mykonos o a Ibiza – dice Briatore – vedo un aereo che si alza in volo ogni due minuti. In quegli aeroporti operano 45 compagnie, in Sardegna credo siano nove in totale».
I pastori infine. «Dopo averli ascoltati, penso che prima di tutto debbano mettersi d’accordo tra loro. E poi scegliere se vendere il latte che producono a industriali che lo deprezzano trasformandolo in un pecorino romano che si vende solo negli Usa a un prezzo bassissimo, oppure produrre loro stessi formaggi di qualità, dove sia indicata l’origine sarda, non romana, e le qualità che questa comporta».