La Nuova Sardegna

Civati: se passa il Sì mortificate le Regioni

di Roberto Petretto
Civati: se passa il Sì mortificate le Regioni

Il leader di Possibile contro la revisione della Carta: il No anche per frenare certe derive di Renzi

30 novembre 2016
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ORISTANO. Ha dovuto rinunciare all’ultimo momento alla tappa sarda del tour RiCostituente: Pippo Civati, leader di Possibile, ha comunque voluto lanciare il proprio messaggio agli elettori dell’isola.

Civati, siamo allo sprint finale. Come convincere gli indecisi?

«Noi manterremo un profilo serio e rigoroso. Vedo che anche gli argomenti da “fine del mondo” sono rientrati. Si vota sulla Costituzione: bisogna spiegare che abbiano una Costituzione buona che rischia di essere peggiorata da una riforma molto imprecisa, contradditoria, sbilanciata, raffazzonata, che mette insieme pezzi diversi, che si dimentica delle Regioni a Statuto speciale, che mortifica le Regioni a statuto ordinario, che crea un Senato di consiglieri regionali».

Il clima è sempre teso...

«Vedo molto nervosismo da parte di Renzi, che sta bruciando tutti gli eventuali competitori perché vuole rimanere a Palazzo Chigi. Manda segnali per cercare di spaventare le persone, ma in realtà l’unico spaventato è lui perché ha combinato un disastro in questa campagna referendaria che ha trasformato in campagna elettorale, caricandola di un significato che la Costituzione non deve avere. Non deve dividere il paese».

Condivide i timori di un minore potere decisionale, soprattutto in campo energetico, per Regioni come la Sardegna?

«Il rischio c’è, a prescindere dal referendum. Da troppo tempo abbiamo governi che sul fronte energetico sono molto tradizionalisti e molto impositivi. Renzi ha prodotto lo Sblocca Italia, che folgora le autonomie, che decide, si sostituisce. Ed è lo spirito che ha cercato di imporre anche nel testo di riforma costituzionale. La Sardegna è Regione a statuto speciale, e questo la distingue dalle altre, ma allo stesso tempo la mantiene nel calderone della cosiddetta riforma. Il no serve anche a frenare certe derive sul piano culturale, certi atteggiamenti governativi che Renzi incarna completamente, non come personaggio politico, ma come cultura più generale. L’idea che si debba decidere imponendo le soluzioni è una follia in un paese così articolato, con delle specificità regionali. Avremmo dovuto immaginare stagione politica della collaborazione».

Suddividere il referendum in più quesiti sarebbe stato utile?

«Se fossero state fatte delle leggi di riforma costituzionale separate tra di loro, probabilmente a questo referendum non saremmo mai arrivati. Avremmo votato con una maggioranza più larga delle misure che potevano essere puntuali, non una specie di riforma mostruosa nella quale ci sono mille aspetti diversi, peraltro in contrasto tra di loro. Avremmo potuto fare un cammino parlamentare più composto, senza questa contrapposizione feroce e senza confondere i cittadini. Lo capisce anche un bambino, avrebbe dovuto capirlo Renzi e avrebbe dovuto vigilare di più Napolitano».

Se vince il no, cosa deve fare Renzi?

«Deve fare quello che non ha fatto in questi mesi: essere responsabile. Lui comunque guida una maggioranza e la maggioranza non cambierà. L’unico che potrebbe ricongiungersi, con i suoi amici più cari Alfano e Verdini, è Berlusconi, ma tutto il resto rimarrebbe uguale. Non vedo un ingresso in maggioranza di 5Stelle, Lega o Civati».

Quindi non si deve dimettere?

«Se non c’è il governo Renzi, c’è il governo di un amico di Renzi sostenuto da Renzi. Non vedo la differenza o la diffeRenzi, come direbbe lui con i giochi di parole che gli piacciono tanto».

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