La Nuova Sardegna

L’ultima casa dei malati terminali

di Gianni Bazzoni
L’ultima casa dei malati terminali

A Sassari la struttura di Mondo X di padre Salvatore Morittu: l’unica in Sardegna

02 dicembre 2016
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SASSARI. Porte aperte tutto il giorno nella Casa famiglia Sant’Antonio Abate di Sassari che accoglie persone ammalate di Aids, l’unica struttura in Sardegna. Un segnale chiaro che mette insieme speranza e testimonianza di normalità, perché come ha detto ieri padre Salvatore Morittu «il pericolo maggiore è l’indifferenza».

Sorriso e disponibilità, il frate francescano fondatore di Mondo X Sardegna, delle comunità dove ogni giorno si combatte la sfida che si fonda sui valori della persona come bene fondamentale, ieri è andato avanti e indietro nella casa famiglia ricavata nel convento del 1400. Studenti e visitatori sono arrivati da più parti per capire, soprattutto per ascoltare.

«Alzare il velo che ancora esiste su questo problema – dice padre Morittu – e che pesa in maniera grave sulle famiglie. Se non c’è la cura, la tenerezza e la condivisione per la vita tutto diventa più difficile, perché l’indifferenza annulla le relazioni». Va avanti e racconta, Salvatore Morittu. La Casa famiglia ha 12 ospiti, spesso quando i posti si liberano è perché qualcuno ha concluso il suo percorso di vita e il ricordo è sempre molto forte.

«Al di là del problema Aids – dice padre Morittu – dobbiamo attivarci per diventare custodi di incontri, in caso contrario resteremo testimoni inermi del virtuale che prende il sopravvento. E aggiungo che dobbiamo essere anche custodi del tempo, senza farci travolgere dal troppo fare e troppo agire, altrimenti c’è poca qualità e tanta superficialità».

Porte aperte, voglia di conoscenza e anche la consapevolezza che la Casa famiglia - l’unica che accoglie ospiti malati di Aids, privi o carenti di appoggio familiare e sociale, parzialmente o totalmente non autosufficienti - è un punto di riferimento.

Pinuccio è il responsabile della comunità, ha una storia da raccontare. Quella di un uomo al quale la malattia aveva portato via tutto, persino la parola. Ma non la voglia di lottare. Si esprimeva a gesti, sempre lucido. Aveva una figlia che non vedeva da più di vent’anni. «Un giorno andammo a Lourdes – ha raccontato ieri agli ospiti Pinuccio – e lui in quella occasione aveva espresso un desiderio. Quello di poter incontrare la figlia».

Al ritorno nella Casa famiglia, dopo qualche mese arrivò una telefonata. «Era una ragazza – ha detto ancora Pinuccio – che cercava una persona. Poche indicazioni e a un certo punto ho chiesto: “Ma tu non sarai per caso la figlia di...?”. Era lei, l’incontro con il padre ci fu. Quando la vide gli si illuminò il viso: non poteva parlare, la ascoltò. Si rividero altre volte. Lui non voleva morire in ospedale, l’aveva lasciato detto. E quando giunse il momento, la sua ultima ora fu qui, nella Casa famiglia».

Storie di sofferenza e di speranza, ce ne sono tante. E allora il messaggio più significativo è quello che padre Salvatore Morittu ricorda sempre: «Un ragazzo al quale avevano appena fatto la diagnosi di Aids, la prima frase che mi ha rivolto è stata questa: mi raccomando, non mi lasciate solo. Ecco, il nostro obbligo è quello di ricordare a tutti che loro esistono come persone e non come problema».

Quella di ieri è stata una giornata particolare, impegnativa ma carica di valori: un abbraccio forte per dare senso a alla sfida di tutti i giorni contro l’indifferenza e il silenzio.

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