La Nuova Sardegna

Mariotto Segni come Renzi: «Anch’io ko, ma è giusto lottare»

di Silvia Sanna
Mariotto Segni come Renzi: «Anch’io ko, ma è giusto lottare»

Il padre del maggioritario ha votato Sì tra i dubbi: «Premier arrogante ma la via indicata è corretta» La pioggia di No nell’isola: «Colpa delle scelte sbagliate di Pigliaru, su città metropolitana e trasporti»

06 dicembre 2016
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SASSARI. Lui e Renzi vittime della velocità della politica, che in un lampo «ti innalza sino a vette eccelse e subito dopo ti fa sprofondare negli abissi». Passare dal mondo in pugno a un pugno di mosche: può capitare, dice Mariotto Segni, ai politici che portano avanti battaglie cruciali. Come cambiare la Costituzione o la legge elettorale con un referendum. Diciassette anni fa per Segni, due giorni fa per Renzi: l’esito di quella consultazione ha impresso una nuova direzione alle loro esistenze. «Ma Renzi non deve fermarsi, perché la sua battaglia è giusta, il nostro Paese ha bisogno di stabilità – dice l’ex deputato Dc, leader dei Referendari – La gente ha detto no perché è stanca delle promesse. È stato un voto di protesta contro il governo nazionale e in Sardegna anche contro la giunta Pigliaru. Che sinora si è dimostrata inadeguata».

Lei ha votato Sì.

«Non ho mai nascosto le mie perplessità sulla riforma. Non condivido l’impostazione del nuovo Senato, non credo sia il bicameralismo perfetto il problema principale. Ma ho votato Sì per coerenza, perché il rischio è tornare al proporzionale sconfitto nel 1993 proprio grazie al referendum».

Allora fu un successo e di lei si disse che aveva l’Italia in mano. Poi che cosa accadde?

«Rifiutai le proposte di candidatura, dissi no a Berlusconi. Non perché mi spaventasse la convivenza con la Destra, ma perché mi spaventavano il conflitto d’interessi e il concetto che Berlusconi aveva del partito, lo considerava una sua proprietà».

Nel 1999 il nuovo referendum non ebbe la stessa fortuna del precedente e segnò la sua graduale scomparsa dalla scena politica italiana. Segni come Renzi?

«In questo momento l’esito del referendum segna un punto in comune tra noi. Ma la situazione del 1999 era profondamente diversa rispetto a quella di oggi. Allora si cercava dal basso di modificare i poteri forti, oggi è il palazzo a proporre il cambiamento. Renzi si appellava alla casta pur essendo lui stesso parte della casta. Gli elettori l’hanno “punito” votando No».

Ha fatto bene Renzi ad annunciare le dimissioni?

«Non aveva altra scelta, dopo avere personalizzato il voto in maniera eccessiva. Peccato, perché in questi 1000 giorni ha rappresentato una speranza per l’Italia grazie a doti che è giusto riconoscergli, come la determinazione e la velocità».

In che cosa ha sbagliato?

«È stato arrogante, ha fatto un lungo elenco di promesse roboanti ma non è riuscito a risolvere i problemi. Anzi, l’incertezza economica si è aggravata e si sono aggiunte altre questioni delicate come l’emergenza immigrati. Il governo Renzi è stato incapace di incidere, di tracciare una strada per il futuro».

In Sardegna la protesta è stata più forte che altrove con la percentuale record di No. Se l’aspettava?

«Avevo una brutta sensazione. Durante gli incontri sul referendum e nel confronto con diverse persone avevo percepito un vento del No molto forte. Ma non immaginavo che il distacco sarebbe stato di tale portata».

Che cosa è successo ?

«In Sardegna alla situazione generale di malessere si sono sommati altri due fattori. Il primo è la paura del centralismo, della riduzione di poteri e competenze alle regioni autonome».

E il secondo fattore?

«È l’insoddisfazione verso l’azione della giunta regionale. I sardi hanno messo in discussione il governatore Pigliaru, le sue scelte sbagliate e le sue non scelte su temi cruciali. Una politica che si è dimostrata carente».

Faccia qualche esempio.

«Per quanto riguarda Sassari la giunta regionale ha sbagliato a proposito della città-area metropolitana, con una soluzione che non soddisfa le aspettative. Invece se si allarga lo sguardo all’intero Nord Ovest è mancata totalmente una strategia in materia di trasporto aereo, su Ryanair c’è stato un balletto lungo e inconcludente».

L’opposizione ha chiesto le dimissioni di Pigliaru. Giusto o sbagliato?

«È una richiesta sbagliata, il referendum era stato promosso dal governo, non dalla Regione. Ma il Pd deve porsi una serie di domande, a Cagliari come nelle altre città in cui amministra».

A Roma che cosa si augura che accada?

Ribadisco, la battaglia sulle riforme deve proseguire. E Renzi può ancora avere un ruolo. Anche perché, in quel 60% che ha detto No, non c’è nessuno pronto a governare il Paese».

Cosa pensa del M5s al governo?

«È un’ipotesi che mi inquieta. Il Movimento ancora non è all’altezza. E questo lo sa bene anche Beppe Grillo».

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