La Nuova Sardegna

Omicidi Monni e Masala, il giorno della verità

di Nadia Cossu
Il luogo dell'omicidio di Gianluca Monni
Il luogo dell'omicidio di Gianluca Monni

Atteso per oggi il verdetto su Paolo Pinna, il giovane accusato insieme con il cugino del duplice delitto che ha sconvolto Orune e Nule

06 aprile 2017
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SASSARI. «Stefano Masala è stato ucciso due volte». Con queste parole il pubblico ministero Roberta Pischedda – riferendosi alle arringhe degli avvocati difensori di qualche giorno fa – nel pomeriggio di ieri 5 aprile ha aperto il suo intervento nell’udienza conclusiva del processo a carico di Paolo Enrico Pinna, il diciottenne di Nule rinchiuso nel carcere minorile di Quartucciu con l’accusa di aver ammazzato – la mattina dell’8 maggio 2015 – lo studente di Orune Gianluca Monni e, il giorno prima, il trentenne suo compaesano Stefano Masala. Due delitti che avrebbe commesso insieme al cugino di Ozieri Alberto Cubeddu.

Sentenza rinviata. Doveva essere il giorno della sentenza ma il “botta e risposta” tra accusa e difesa si è protratto più del dovuto e così il giudice Antonio Minisola – che dovrà anche sciogliere la riserva su alcune richieste presentate dalla difesa – ha rinviato a questa mattina la camera di consiglio e, quindi, la lettura del verdetto.

Le repliche della pm. Le repliche della pm si sono concentrate su alcune considerazioni contenute in particolare nella discussione dell’avvocato Agostinangelo Marras che assiste l’imputato insieme al collega Angelo Merlini. La Pischedda ha voluto smontare la tesi difensiva secondo cui Stefano Masala si trovava a Orune la mattina dell’omicidio Monni. Ed era quindi vivo la notte del 7, ossia nelle ore in cui – secondo gli inquirenti – il 30enne veniva ucciso da Pinna e Cubeddu. Per Marras, a collocare Stefano a Orune sarebbe stato proprio suo padre Marco in una dichiarazione resa ai carabinieri di Nuoro – e contenuta in una informativa – ai quali avrebbe detto di aver riconosciuto il proprio figlio nella Opel Corsa inquadrata dalle telecamere del paese la mattina dell’8 maggio. «Quella ricostruzione fatta con i carabinieri è basata su ipotesi, non è stata mostrata alcuna immagine a Masala» ha replicato il pubblico ministero. Era oltretutto impossibile riconoscere i volti delle persone che erano dentro la macchina attraverso i fotogrammi di quelle telecamere. E, al limite, il padre di Stefano poteva solo essersi augurato, parlando con gli investigatori, che il figlio fosse realmente dentro l’auto inquadrata perché avrebbe voluto dire che era ancora vivo. «Non ha mai detto di averlo visto» è stata la puntualizzazione della Pischedda.

La controreplica. «Lo dice – controreplica Marras – c’è un’informativa dei carabinieri. Inoltre abbiamo chiesto l’acquisizione dei brogliacci (memoriali di servizio ndc) depositati nel fascicolo dell’indagine a carico di Cubeddu: contengono una conversazione tra Marco Masala e il proprio nipote Giuseppe durante la quale i due farebbero riferimento al fatto che Stefano l’8 si trovava a Pattada». Brogliacci del tutto irrilevanti secondo la pm che nemmeno si è opposta all’eventuale acquisizione. Il giudice Minisola deciderà stamattina se disporla o meno.

L’attendibilità di Taras. Ancora una volta si parla del supertestimone Alessandro Taras. Ossia colui che (del tutto ignaro di quello che era accaduto poche ore prima a Orune) avrebbe accompagnato Cubeddu a Pattada nel punto in cui quest’ultimo avrebbe dato fuoco alla Opel di Masala. Per cancellarne ogni traccia, secondo l’accusa. Per la pm Pischedda quella di Taras è una ricostruzione lineare, senza sbavature, assolutamente attendibile. Di parere opposto la difesa secondo cui il racconto fornito dal supertestimone non può essere credibile per una questione di mancata coincidenza tra orari e tempi di percorrenza. L’avvocato Marras ha anche chiesto l’acquisizione della memoria difensiva dove si parla di una foto che Pinna avrebbe ricevuto attraverso un messaggio whatsapp alle 6.40 della mattina dell’8. Le celle telefoniche collocherebbero il telefono a Nule e non a Orune. Memorie sono state depositate anche dagli avvocati Caterina Zoroddu – che tutela la famiglia Masala – e da Antonello Cao, Rinaldo Lai e Margherita Baragliu, legali dei Monni.

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