La Nuova Sardegna

Nell’isola non c’è lavoro e i sardi rifanno le valigie

di Alessandro Pirina
Nell’isola non c’è lavoro e i sardi rifanno le valigie

Sempre più giovani se ne vanno all’estero. In aumento anche gli over 65

05 maggio 2017
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SASSARI. Sette sardi su cento vivono fuori dai confini italiani. Per l’esattezza il 6,7 per cento dei sardi ha la residenza all’estero. Un numero che non comprende i tanti che hanno messo su casa e famiglia nella penisola. O i tanti che, pur vivendo in terra straniera, hanno scelto di mantenere la residenza nell’isola. Il fenomeno dell’emigrazione interessa la Sardegna dalla fine dell’Ottocento, con punte molto alte nel dopoguerra, ma negli ultimi anni, complice una crisi che non sembra avere via d’uscita, il sardo è stato costretto a fare di nuovo le valigie. Una nuova generazione di emigrati, la maggior parte di età compresa tra i 18 e i 34 anni, che però la Regione non vuole perdere. Anzi. L’obiettivo della giunta Pigliaru è quello di favorire una crescente integrazione tra chi è rimasto nell’isola e chi l’ha lasciata, senza escludere un ritorno a casa in un periodo economico più florido. È in questa ottica che la Regione anche quest’anno ha deciso di destinare due milioni di euro all’anno a favore dei sardi che vivono oltre Tirreno.

Identikit. Negli ultimi anni c’è stato un aumento costante dei giovani sardi che si sono trasferiti all’estero per motivi di studio o di lavoro. Un esercito di cui fanno parte anche diversi talenti con titoli di studio elevati o specializzazioni professionali. A questi però vanno affiancati i tanti che sono stati costretti a lasciare l’isola a causa della crisi economica, alla ricerca di un lavoro che non sono riusciti a trovare vicino a casa. Dal 2010 migliaia di sardi hanno abbandonato l’isola. Solo nel 2015 sono stati 2.577.

Circoli. Punto di contatto tra la prima casa e la seconda sono i circoli. Sono 119 quelli riconosciuti dalla Regione e sei le federazioni. I circoli sono quasi equamente divisi tra la penisola e l’estero. I 63 italiani sono prevalentemente nel centronord, dove c’è stata la grande emigrazione del dopoguerra. All’estero sono 56. I più numerosi negli Stati che hanno caratterizzato il fenomeno migratorio del Novecento: Germania, Francia, Belgio, Svizzera, ma anche Argentina e Australia. Ma rispetto al passato crescono gli iscritti in Inghilterra, Spagna, Olanda, Irlanda, Stati Uniti, Canada. E anche in Bulgaria, dove c’è stato un aumento per lo sbarco di numerosi pensionati che nell’isola non riuscivano ad arrivare a fine mese.

Obiettivi. I fondi messi a disposizione dalla Regione, che sono inseriti in un piano triennale, non saranno distribuiti a pioggia, ma - viene specificato nelle linee guida - maggiori risorse saranno elargite ai circoli più attivi. Nella promozione economica della Sardegna e in iniziative culturali, nell’inserimento dei giovani e nell’utilizzo di tecnologie, ma anche nell’aiutare gli emigrati di nuova generazione negli spostamenti con l’isola e, perché no, nel realizzare progetti che favoriscano il ritorno in Sardegna dei giovani emigrati con un bagaglio di professionalità, esperienze di studio e di lavoro.

Figli di emigrati. Il processo di avvicinamento riguarda anche i figli e discendenti di emigrati sardi nati lontano dall’isola che, in alcuni casi, hanno conservato la cittadinanza italiana, in altri l’hanno persa. È anche a loro che la Regione si rivolge nel piano triennale in favore dell’emigrazione. «Sono una risorsa culturale e identitaria di grande importanza per la Sardegna – si legge nelle linee guida –. Occorre costruire un sistema di rete capace di portare a una crescente interazione culturale, sociale ed economica tra sardi residenti in Sardegna e quelli che vivono fuori».

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