La Nuova Sardegna

Agricoltura “bio”, è boom ma non in Sardegna

Antonello Palmas
Agricoltura “bio”, è boom ma non in Sardegna

Tra il 2015 e il 2016 calo delle superfici, meno 3,7% e delle imprese meno 10,8%  Farigu, Laore: «Sistema fragile, punta troppo poco su trasformazione e vendita» 

07 marzo 2018
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SASSARI. È stata tra le regioni trainanti nell’esplosione delle produzioni biologiche. Eppure i dati riguardanti le variazioni tra 2015 e 2016 forniti da Sinab-Ismea oggi pongono la Sardegna in forte controtendenza rispetto a un mercato in espansione, che ha raggiunto i 2,5 miliardi di valore. L’isola è infatti l’unica in calo per ettari coltivati, -3,7%, insieme alla Toscana (-0,6%). Eppure la terra dei nuraghi ha un superficie coltivata di 140.619 ettari, che viene dietro soltanto a Sicilia, Puglia e Calabria. Ancora più eloquente il dato sul numero di imprese del bio: -10,8%, mentre altrove il segno è sempre positivo. Che succede?

«La differenza sembra essere nelle difficoltà di un mercato che punta molto sulla fase della produzione e molto meno sulla trasformazione e commercializzazione, più redditizie – spiega l’esperto di Laore, Gianfranco Farigu –. E anche il contatto tra produttore e consumatore, che in questo settore è più importante, non è molto curato». Le imprese sarde del settore sono così distribuite: i produttori esclusivi (agricoltori e allevatori) sono 1995 – fa notare Farigu –; i produttori preparatori (quelli che producono e trasformano, magari con un minicaseificio o una cantina) sono 143; i preparatori esclusivi (quelli che trasformano soltanto e hanno il massimo profitto, avendo meno rischi legati a clima o malattie) sono solo 92. «Significa che da noi i lavoratori del bio sono più esposti al rischio senza avere i vantaggi della trasformazione rispetto ad altre aree. Ad esempio, le Marche, che hanno numeri totali simili, i produttori preparatori sono 334 e i preparatori esclusivi 227 – sottolinea Farigu –. In Piemonte, dove i produttori esclusivi sono meno che in Sardegna, i produttori preparatori sono 460, i preparatori esclusivi 500».

Per questo motivo, in un’Italia in cui i consumi di alimenti bio crescono del 20% annuo (l’agroalimentare è sul +0,5%) l’isola è in calo «perché non riesce a stare nel mercato e fare ricavi adeguati agli sforzi (il bio ha dei costi superiori), la ricchezza non è redistribuita sui produttori. E questo nonostante la Regione abbia investito col Psr per sostenere le spese di certificazione». Pecche anche nel sistema di vendita: «Mentre altrove i venditori sono tanti, in Sardegna c’è quasi un monopolio nella fase finale della filiera e questo non facilita certo il mercato – dice l’esperto di Laore –. E poi c’è poca relazione tra chi produce e chi consuma, un peccato perché è evidente quanto il potenziale del settore sia elevato dal constatare come il consumatore preferisca un bio che sia anche sardo. Chi fa davvero i soldi sono le organizzazioni del nord e dei paesi del centro Europa che comprano e trasformano senza produrre. Qui il sistema è troppo fragile».

C’è anche chi ha fatto il furbo e ha inquinato il mercato facendo concorrenza sleale, ovvero incassando i contributi ma senza seguire le rigide regole previste (qualcuno è stato scoperto con i controlli a campione di Argea e ha dovuto restituire sino a 95 mila euro). C’è il problema degli enti certificatori che sono anche controllori (e su questo un recente decreto del Consiglio dei ministri proverà a porre rimedio). «Forse c’è più diffidenza – dice Battista Cualbu, presidente di Coldiretti – ma il settore va rilanciato assolutamente in una regione che è bio di natura». Il calo potrebbe spiegarsi con le difficoltà di stare nel mercato – dice Stefano Mameli, segretario generale di Confartigianato – ma è anche vero che le imprese dovrebbero cercare sbocchi e target di mercato per non essere costrette a svendere».

«Con i Progetti integrati di filiera abbiamo la possibilità di favorire un percorso virtuoso – spiega l’assessore regionale all’agricoltura Pierluigi Caria – che crei un ponte fondamentale tra la filiera e i consumatori che vogliono essere sempre più informati sulle produzioni biologiche e sui passaggi che le accompagnano alla vendita finale. Sono lo strumento ideale per superare il gap che interessa la filiera biologica in Sardegna, dove siamo molto forti sulla produzione e meno su trasformazione e commercializzazione. Un risultato del genere permetterebbe di far rimanere in regione maggiori economie che invece oggi finiscono nelle aziende della penisola. Se al brand della qualità ambientale e del benessere animale riuscissimo ad affiancare anche una filiera e una certificazione forte del bio, le produzioni agroalimentari sarde avrebbero pochi competitor. Per favorire il settore, su cui gli imprenditori devono farsi carico di maggiori spese, il Psr prevede aiuti per 78,5 milioni di euro». Proprio ieri la firma del decreto di attuazione della Misura 11 sull’agricoltura biologica per l’apertura delle domande sull’annualità 2018.



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