La Nuova Sardegna

Le ricette della Sardegna nelle cucine del Quirinale

Claudio Zoccheddu
Le ricette della Sardegna nelle cucine del Quirinale

Da ventinove anni Pietro Catzola di Triei, in Ogliastra, è lo chef dei Capi dello Stato. Assunto da Cossiga al Colle ha servito Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella 

04 ottobre 2018
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SASSARI. Pietro Catzola, 59enne di Triei, è un uomo che ha vissuto due vite. Una a bordo dell’Amerigo Vespucci e un’altra nelle cucine del Quirinale. Il cuoco dei presidenti della Repubblica, in ventinove anni ha cucinato per Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano e Mattarella come ha raccontato Elvira Serra sul Corriere della Sera, non ha mai dimenticato la sua isola. Nelle sue tavole c’è sempre stato spazio per la cucina sarda.

D’altra parte è proprio grazie alle ricette tradizionali se Pietro ha abbandonato la Marina per prendere possesso delle cucine del Colle. E, anzi, all’inizio non ne voleva proprio sapere. «Sono nato a ridosso della costa di Santa Maria Navarrese, amo il mare e quando Cossiga mi ha proposto di trasferirmi dalla Vespucci al Quirinale ho detto no. Non me la sentivo, amavo la mia vita». Pietro ha ceduto solo dopo un anno di corteggiamento presidenziale. Ma la sua storia inizia molto prima, l’8 settembre del 1975: «Quando ho vinto il concorso per entrare in Marina, come mi aveva consigliato mio zio Giovanni – ricorda Pietro Catzola –. Il corso l’ho fatto alla Maddalena, a Mariscuola. E sempre seguendo i consigli di mio zio, ho deciso di chiedere di entrare in fureria per potermi occupare della gestione dei viveri». Il periodo alla Maddalena non fu una passeggiata: «Quando sono arrivato pesavo 95 chili, l’anno dopo ne avevo persi 35. Piangevo spesso, ma mi ero imposto di farcela e ce l’ho fatta». Il primo incarico fu a bordo della nave oceanografica Magnaghi che, guarda caso, stava facendo rilevazioni al largo del golfo di Arbatax. Con gli anni arrivarono anche le promozioni. Prima sergente, poi secondo capo, primo capo e via fino a diventare il responsabile delle mense di bordo della nave più bella del mondo, l’Amerigo Vespucci. Da come parla, si capisce cosa significhi per Pietro Catzola quell’esperienza: «Ho ricordi stupendi come quando partecipammo alla festa per il centenario della Statua della Libertà. Era il 1985, e quando eravamo ormeggiati al Pier 2 di Brooklyn c’era talmente tanta gente che voleva visitare la nave che si formarono 12 chilometri di fila. Vidi anche Ronald Reagan». Pochi anni dopo i capi di stato sarebbero stati parte del suo lavoro, anche se Pietro non poteva saperlo. Fu l’amore per la Sardegna a dare l’assist per l’inizio della sua seconda vita: «Ogni volta che c’era qualche incontro di rappresentanza, ovunque fossimo e in qualsiasi situazione, lasciavo nelle mie tavole sempre uno spazio dedicato ai prodotti sardi. Spesso ci mettevo la fregula».

Le occasioni non mancavano, la Vespucci è una nave di rappresentanza e in ogni porto del mondo ospita ambasciatori e politici di rango. Pietro Catzola ricorda un’occasione particolare, a Portofino: «Avevo deciso di riempire una scialuppa di salumi e formaggi sardi che venne sistemata sul ponte. Fu un successo». Durante la permanenza a bordo della Vespucci Pietro incontrò tanti personaggi. Nella sua memoria è scolpito l’incontro con Oriana Fallaci: «Aveva apprezzato la mia cucina e mi volle conoscere. Mi fece tanti complimenti e mi regalò una copia di Lettera a un bambino mai nato». Ma l’occasione della vita arrivò nel 1988, dopo che la Vespucci aveva fatto scalo a Cagliari dove Pietro aveva rifornito la cambusa di prodotti sardi: «E mi avevano anche regalato alcuni vassoi di sughero, l’ideale per servire il maialetto». La tappa successiva era Civitavecchia, a bordo era atteso il Capo di stato maggiore della Marina e il presidente della Repubblica, che all’epoca era Francesco Cossiga, e Pietro preparò il solito angolo dedicato all’isola: «Alla fine del buffet venni convocato a poppa dal comandante e mi trovai davanti al presidente Cossiga che mi chiese chi fossi. Risposi e aggiunsi che mi piaceva puntualizzare la mia provenienza utilizzando la cucina e i prodotti sardi». Cossiga era uno schietto, infatti la proposta arrivò subito: «Mi disse che entro un anno si sarebbe liberato un posto nelle cucine del Quirinale e che avrebbe voluto me. Gli risposi che ci avrei pensato». Intanto Pietro aveva modificato il suo stile che all’inizio era fantasioso, nel senso che riusciva a far quadrare i conti e a soddisfare i palati, e immediato: «Fino a quando a bordo della Vespucci venne ospitata una cena della famiglia Missoni. Avevano i loro chef quindi noi ci limitammo ad osservare. Fu allora che notai un bellissimo vassoio di ravioli multicolore realizzato seguendo le geometrie che avevano reso famoso il loro marchio. Era bellissimo e buonissimo. Fu allora che decisi di dare valore all’impiattamento». Gli impegni in sospeso ritornarono prepotentemente nel 1989: «Venni convocato al Quirinale per approfondire il discorso e vedere con i miei occhi cosa fossero le cucine presidenziali: fu l’occasione per rinnovare l’offerta che però rifiutai, ancora una volta. Ero quasi andato via quando cambiai idea, quello che mi stava passando davanti era il treno che si aspetta per una vita e io rischiavo di vederlo sfumare per continuare la vita del marinaio. Ma non ero un ragazzino, avevo una moglie e due figlie. Feci marcia indietro e accettai». Lasciare il mare, però, era più difficile di quanto potesse pensare: «Infatti chiesi di prendere parte all’ultima crociera della Caio Duilio e fu l’incarico più bello: cucinavo per fare contento l’equipaggio ed era come se fossero sempre in ristorante».

Le seconda vita di Pietro stava per iniziare e lui, ovviamente, ricorda la data: «Era il 6 novembre del 1989 e appena 23 giorni dopo dovetti organizzare il mio primo pranzo di Stato». L’ospite era un pezzo da novanta: «Michail Gorbaciov. La Guerra fredda stava per finire ma la pressione quel giorno fu tantissima e, ovviamente, fummo controllati anche in cucina». Un’altra data scolpita nella memoria del cuoco di Triei è il 28 aprile del 1992: «Quando mi comunicarono le dimissioni di Cossiga che, secondo me, coincidevano con la fine del mio incarico. Credevo di ritornare in Marina e, a quanto mi dissero, l’ammiraglio Venturi era già pronto ad accogliermi nella sua nave». Ma il destino di Pietro non faceva più rima con i sette mari: «Incontrai Oscar Luigi Scalfaro che, con mio grande stupore, mi chiese se volessi restare al Quirinale. Questa volta accettai subito e qualche tempo dopo venni assunto in pianta stabile. Ero diventato a tutti gli effetti il cuoco dei presidenti».

Ma la passione per la cucina dell’isola e per i segreti tramandati dalla nonna non venne mai accantonata. Anzi, diventò un motivo di confronto con le famiglie dei presidenti che si alternavano al Quirinale. Uno dei più produttivi fu quello con Marianna Scalfaro, la figlia di Oscar Luigi: «La signorina è una vera esperta, fu lei che ci permise di rinnovare le cucine – ricorda Pietro che veniva costantemente stimolato sul piano della fantasia –. Fino a quando non decisi di stupirla durante un pranzo a Castel Porziano. Mi ero procurato un bel tonnetto fresco che servii su un vassoio d’argento in cui avevano inserito una piccola lastra di granito rovente, che mi ero fatto preparare apposta da un marmista, in cui si poteva cuocere il pesce. Anche in questo caso avevo usato la tradizione sarda perché i minatori cucinavano il pesce proprio così. E infatti fu un successo». Dopo Scalfaro arrivò Ciampi e sua moglie Franca: «Una vera nobildonna che mi ha insegnato tutti i segreti delle tagliatelle mentre io le ho insegnato quelli della fregula e dei maccarrones de busa, che però a lei piacevano più corti di come li impone la tradizione del ferretto. Feci un piccolo strappo alla regola, è una grande donna». Napolitano, invece, ha una passione per i dolci sardi, soprattutto le formaggelle. È capitato che li preparassi a casa e ne portassi alcuni al presidente che, ovviamente, apprezzava». Infine Mattarella che ha condiviso con due dei suoi predecessori le vacanze nell’isola: «Mi dicevano sempre di essere stati nella mia terra e quanto fosse bella e ospitale – conclude il cuoco che non ha dimenticato il suo passato e che non vuole farsi chiamare chef –. Perché dovrei? Sono stato assunto con la qualifica di cuoco».



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