La Nuova Sardegna

La marcia della pace contro le fabbriche di bombe

La marcia della pace
La marcia della pace

In centinaia alla passeggiata di 22 chilometri da Gesturi a Laconi giunta alla 17a edizione

22 ottobre 2018
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LACONI. "C'è lavoro e lavoro. Le fabbriche che producono strumenti di morte come le bombe e quelle che, nell'avvelenare l'ambiente, mettono a repentaglio la salute umana, non creano un'occupazione accettabile". Lo ha detto Marco Mameli, della segreteria della Confederatzione Sindacale Sarda durante la 17/a edizione della Marcia della Pace Gesturi-Laconi che si è svolta ieri 21 ottobre.

In centinaia, con striscioni e bandiere, hanno partecipato alla passeggiata di 22 chilometri, partita dal piazzale della chiesa parrocchiale di Gesturi, con tappa a Nuragus e pranzo al sacco a Crastu, borgata agricola alle porte del paese di Sant'Ignazio. "La produzione delle bombe a Domusnovas - ha spiegato Mameli - deve essere interrotta e gli stabilimenti riconvertiti come previsto dalla legge 185/90. Nell'immediato, occorre anche applicare le numerose risoluzioni adottate dal Parlamento europeo in tema di esportazioni di armamenti verso l'Arabia Saudita, parte belligerante nel sanguinoso conflitto dello Yemen".

Stesso discorso per le industrie che avvelenano l'ambiente e per i poligoni militari che insistono sul territorio sardo: "Laddove emerge l'insostenibilità ambientale e sanitaria delle produzioni industriali e delle basi militari si manifesta l'obbligo inderogabile di porre fine a quelle attività, bonificare e accompagnare la riconversione di quei territori verso nuovi e sostenibili utilizzi. Solo in questo modo diviene possibile costruire un'economia capace di garantire la vita e la pace".

"La Marcia della Pace - ha concluso - è anche un'occasione per ricordare le 2000 vittime dei bombardamenti su Cagliari del 1943. In quel caso le bombe erano prodotte da altri e i morti erano i nostri. Oggi siamo noi a produrre questo tipo di armamenti, ma la naturale inclinazione del popolo sardo alla pace ci porta a concepire come nostri anche i morti dello Yemen e quanti cadono nelle guerre innescate dalla sete di potenza degli Stati che perseguono una politica espansionistica".

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