La Nuova Sardegna

Ha ucciso per l’eredità trent’anni a un 86enne

di Mauro Lissia
Ha ucciso per l’eredità trent’anni a un 86enne

Ad agosto 2016 Peppuccio Doa sparò contro i due fratelli Caddori e li ammazzò: aveva paura che la sorella potesse intestare i risparmi e i beni alla loro famiglia

14 gennaio 2020
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CAGLIARI. Nessuna attenuante, malgrado l’età avanzata Peppuccio Doa era lucido, cosciente e perfettamente consapevole di quello che stava facendo quando ha sparato quattro colpi di pistola calibro 7.65 ai fratelli Andrea e Roberto Caddori, 43 e 46 anni, che nel suo immaginario insidiavano l’eredità attesa dalla sorella Maria Doa. Era il 10 agosto del 2016, il teatro del delitto è la casa familiare di Arzana, l’assassino ormai non più presunto aveva allora 83 anni ed ora, raggiunti gli 86, ha dovuto incassare una condanna che almeno per adesso gli cancella ogni prospettiva: trent’anni di carcere, colpevole di duplice omicidio volontario e porto illegale di un’arma da fuoco. Tre anni è la pena destinata a Massimiliano Sumas, 45 anni, genero dell’anziano omicida, responsabile di favoreggiamento personale per aver cercato di depistare le indagini iniziali della polizia con informazioni false.

I giudici della Corte d’Assise - presidente Giovanni Massidda, a latere Giorgio Altieri - sono usciti dalla camera di consiglio per leggere il dispositivo alle 15, in un’aula ormai semideserta, davanti al pm Nicola Giua Marassi - che aveva chiesto esattamente la pena inflitta all’imputato - e ai difensori Pierluigi Concas e Herika Dessì (per Sumas). Di fronte a una responsabilità evidente, rafforzata dalla confessione, gli spazi per un ricorso in appello saranno molto angusti. Ma la mancata concessione delle attenuanti generiche, che avrebbero garantito a Peppuccio Doa una sensibile riduzione della pena, potrebbero diventare tema di confronto in un eventuale secondo grado del giudizio. Al deposito della sentenza l’avvocato Concas valuterà il da farsi. Con ogni probabilità Doa, causa l’età avanzata, sconterà la pena a casa.

La decisione della Corte sembra aver seguito, almeno nelle conclusioni, la ricostruzione accusatoria illustrata dal pm Giua Marassi nel corso della requisitoria. Un intervento asciutto in cui il magistrato ha messo uno dietro l’altro gli elementi d'accusa che hanno inchiodato Doa alle sue responsabilità ed hanno escluso che il movente del delitto fosse diverso da quello individuato fin dalle prime fasi dell'inchiesta: i soldi e gli altri beni della sorella. L’avvocato Concas ha provato a minare questa certezza avanzando l’ipotesi che Doa abbia fatto fuoco per prevenire un’aggressione che temeva imminente, un eccesso di legittima difesa commesso al culmine di una discussione animatissima. I giudici non hanno creduto a questa tesi.

La sentenza conferma la tesi dell’accusa: a scatenare la rabbia incontenibile del pensionato è stato il sospetto che la sorella fosse in procinto di sottoscrivere un testamento in cui il destinatario dei suoi risparmi, circa 160 mila euro, non doveva essere il fratello ma la madre e la figlia dei due fratelli Caddori, che l'avevano accudita costantemente negli ultimi anni. Doa non avrebbe ricevuto alcun lascito, malgrado la stretta parentela. Per l'accusa la ricostruzione dei fatti contenuta nel rapporto di polizia è quella corretta: Peppuccio Doa si presentò nel pomeriggio a casa della sorella, che era a letto per le conseguenze di una caduta. Il progetto era di cercare documenti notarili relativi alle proprietà di famiglia, i beni che il pensionato si aspettava di ricevere in eredità alla morte di Maria e che temeva venissero intestati ad altri. I testimoni hanno riferito di una discussione seguita da una lite, che Peppuccio Doa avrebbe chiuso sparando colpi di pistola all'impazzata. Alla richiesta di aiuto lanciata dalla sorella Bruna, i fratelli Caddori sarebbero accorsi a casa Doa trovandosi subito di fronte Peppuccio. L'anziano pensionato, inferocito e fuori di sè, avrebbe estratto la pistola Browning 7.65 per esplodere due colpi contro ciascuno dei due fratelli, colpiti al torace. Quindi la fuga disperata di un uomo che non era in grado di fuggire, conclusa la notte successiva quando Peppuccio Doa si presentò stremato all'ospedale di Lanusei per offrire i polsi ai poliziotti che lo cercavano.

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