La Nuova Sardegna

La sfida sarda del topinambur, il tubero che sa di carciofo

di Antonello Palmas
La sfida sarda del topinambur, il tubero che sa di carciofo

Riscoperto di recente. È simile alla patata: coltivati 20 ettari nel Campidano. Il pioniere Picci: «Esportato quasi tutto il raccolto, l’interesse è in crescita»

23 febbraio 2020
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SASSARI. E dire che quando i francesi lo importarono dal nord America all’inizio del XVII secolo ebbe decisamente più successo dell’altro tubero proveniente dal nuovo Continente, la patata, che dall’inizio del XVIII secolo prese decisamente il sopravvento. Il topinambur è sempre rimasto un ortaggio di nicchia, ma ora lentamente viene riscoperto grazie anche alle sue caratteristiche sempre più apprezzate dalla cucina moderna, che predilige basso regime calorico e ricchezza di minerali. E nei piatti degli chef sempre più spesso è presente questo tubero dal sapore simile alla testa del carciofo ma con qualcosa della patata, per certi versi somigliante allo zenzero, ma in realtà cugino del girasole come testimonia il nome scientifico Helianthus tuberosus, che parla di un fiore che segue la luce. È noto anche come rapa tedesca o carciofo di Gerusalemme. Ma anche girasole del Canada, da dove proviene.

Piace ai tedeschi. In Sardegna tra i pochi che già ci credono è Renzo Picci, che a Serramanna ha piantato il topinambur su una quindicina di ettari, mentre nel resto dell’isola potrebbero essere 4-5 quelli residui coltivati da altre aziende. Parla di un prodotto in crescita, ma nulla a che vedere con la produzione del Veneto, leader nazionale. «Il 90 per cento va in esportazione – dice Picci – Noi abbiamo rapporti con Germania, Inghilterra e Svizzera, un po’ con l’Austria. I tedeschi sono grandi consumatori del prodotto e anche organizzati al punto di vista industriale: dal topinambur fanno molta grappa, farina, succhi di frutta e tanti altri prodotti. I maggiori produttori sono però in Francia, da cui arriva la gran parte del prodotto consumato in Italia. Qui in Sardegna è un articolo di nicchia, c’è poca richiesta dalla grande distribuzione. A volte accade che nell’isola ritorna il prodotto sardo commercializzato da aziende del nord .

La scommessa. Picci è arrivato un po’ per caso al topinambur, una sorta di scommessa. «Per disperazione, non è stata una scelta meditata – spiega – Coltivavo carciofi, avevo quasi 100 ettari che ho eliminato completamente. Non c’era più reddito, in questi anni il rischio di perdere soldi è diventato troppo alto. Non si sa più cosa commercializzare e quest’anno con la siccità in atto sarà ancora peggio. Un amico ha portato un po’ di tuberi dalla Svizzera e li ha piantati, 4-5 anni fa me ne ha dato un po’ e ho trovato interessante questo prodotto. Ho avviato la coltivazione sfruttando le mie conoscenze commerciali ereditate dal carciofo. Ho aumentato gli ettari e sto adottando un giro rotazionale dei terreni, piantando anche insalate a ciclo breve come rucola, valeriana e spinaci».

Esperienza sul campo. Per quanto riguarda la coltivazione, il produttore di Serramanna afferma che non è difficile ma occorre fare delle prove per trovare le zone ideali: «Non abbiamo supporto di esperti come avviene per altri prodotti, c’è ancora tanto da imparare, per questo ammetti di essere un po’ geloso, l’esperienza me la sono fatta da solo». La produttività? Dipende dalla qualità del terreno. Ho piantato in zone ricche, medie e scarse. Queste ultime sono quelle più calde e quest’anno pianterò lì per avere precocità, ma non so ancora che resa possa avere e come possa reagire il tubero».

Conservazione non facile. Il problema è più che altro la conservazione: «Per avere rapporti commerciali continui e stabili devi avere il prodotto tutto l’anno – spiega Picci – Io sono andato in produzione a fine ottobre e ho preso dal campo quello che mi serviva in base agli ordini ricevuti, dalla prossima settimana tolgo tutto e immagazzino in cella frigo, sfruttando le soluzioni dettate dall’esperienza ricavata in questi anni per quanto riguarda temperature, umidità e materiali». La vera difficoltà è legata alla raccolta: «Quella invernale richiede una certa spesa. Di norma la faccio meccanicamente, ma nella stagione fredda col terreno umido devo entrare manualmente e lì si alzano i costi e l’impegno: il tubero è pieno di terra incollata. E la forma non aiuta: non è regolare come la patata, ma bitorzoluto e poco uniforme, il terriccio si incastra ed è difficile da pulire per avviarlo alla vendita».

In cucina. Il topinambur è piuttosto versatile in cucina: «Puo essere consumato in tanti modi – dice Picci – crudo, come zuppa, come soffritto nella pasta al posto del carciofo, oppure nell’agnello come si fa con la patata». E attenzione: quello sardo ha caratteristiche che lo rendono preferibile: «Presenta un grado zuccherino superiore, e quindi è molto più gradevole al palato. La stessa varietà piantata in Veneto non ha un sapore uguale». Un elemento che potrebbe fare la sua fortuna.

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