La Nuova Sardegna

Nanni Campus: «Case di riposo e ospedali un sistema da cambiare»

di Gianni Bazzoni
Nanni Campus: «Case di riposo e ospedali un sistema da cambiare»

Il sindaco sul record di morti e contagiati a Sassari: inutile cercare colpevoli

11 aprile 2020
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SASSARI. «Quanti morti a Sassari? A marzo ci sono stati 216 decessi: sono stati 22 in più rispetto al 2018 quando c’era stata una epidemia di influenza. I numeri confermano che quello del Covid 19 è un virus che determina conseguenze più pesanti rispetto alle normali epidemie anche se non se ne discosta molto, salvo la maggiore contagiosità. E quindi c’è un aumento dei morti. Se questi decessi siano tutti riconducibili al virus SarsCoV2 questo non lo posso dire. Sono dati che forse conosceremo tra 6 mesi, quando gli epidemiologi faranno le valutazioni. Però l’aumento delle vittime c’è stato, confermato anche nelle case di riposo».

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Nanni Campus, sindaco di Sassari è in carica da fine giugno dello scorso anno, più o meno dieci mesi, gli ultimi tre trascorsi a fronteggiare una emergenza drammatica - come altri primi cittadini - e della quale riesce anche a valutare effetti e conseguenze, non fosse altro per il fatto di essere un medico, ma anche massima autorità sanitaria del capoluogo di provincia.

«Sfatiamo questa convinzione comune. I sindaci in realtà non contano niente, dopo la riforma sanitaria. É in atto in questo momento un commissariamento di tutte le aziende, sono attive le Unità di crisi regionale e locale e la gestione è in mano a organismi dove non c’è un sindaco dentro. Questo forse è anche giusto, perché io sono un medico, ma chi mi ha preceduto era un agronomo, prima ancora c’era un altro medico, e negli anni passati un insegnante. Non può essere autorità sanitaria chiunque. È un retaggio da modificare, ormai il sindaco è autorità sanitaria solo per firmare i Tso. Però quando lo si vuole attaccare si dice che comanda lui, come se io potessi obbligare i medici di base ad andare a Casa Serena. Invece non posso fare niente, non ho possibilità di spostare sanitari da una parte all’altra o disporre qualsiasi altra cosa. Perché dipende da altri non da me».

Ha parlato di Casa Serena, è uno dei focolai attivi a Sassari, si contano diversi ospiti e morti oltre a decine di contagiati. Un modello dell’accoglienza fallito quello degli istituti per gli anziani?

«Non è più sostenibile, questo è sicuro. Venti anni fa Casa Serena era una casa di riposo dove praticamente se non eri autosufficiente non potevi entrare perché non c’è un sistema di assistenza. Non ho capito perché nel tempo si è trasformata in una casa che è diventata anche luogo di cura. Per essere tale dovrebbe avere strutture e qualifiche professionali essenziali, in primis un direttore sanitario e figure mediche che una amministrazione comunale non può rendere disponibili. Quindi secondo me il modello attuale delle case di riposo deve essere assolutamente rivisto. E vanno rivalutati anche i numeri: non è possibile avere una così alta concentrazione di soggetti deboli in una sola struttura. Diventano facilmente aggredibili da qualsiasi evento, a maggiore ragione se epidemiologicamente rilevante».

C’è un caso Sassari, a livello regionale e nazionale. Troppi contagiati in ospedale e nelle case di riposo. Perché è successo? Che idea si è fatto?

«È chiaro che abbiamo un punto debole, perché l’ospedale è centralizzato. Non abbiamo potuto da subito indirizzare i pazienti verso una struttura separata. Se noi avessimo avuto la possibilità di decidere che il Santissima Annunziata (dove c’è il Pronto soccorso) doveva diventare una struttura Covid, serviva un piano B per spostare da lì tutti i reparti, come la Cardiologia dove poi si sono verificati i maggiori problemi. Andavano separate le due strutture. Cosa che Cagliari ha potuto fare benissimo separando gli ospedali: il Santissima Trinità da Monserrato e dal Brotzu, che sono stati solo sfiorati dal problema. La stessa cosa di Sassari è successa a Olbia – anche lì unica struttura ospedaliera – e ad Alghero, cioè dove non c’era ancora modo di differenziare i percorsi, si sono create delle falle. E siccome il Santissima Annunziata e le Cliniche sono il primo ospedale come posti letto in tutta la Sardegna, possiamo capire che una infezione contagiosa con così alta morbilità come il Covid 19 non poteva che avere effetti devastanti che ancora si ripercuotono, perché tutti i focolai accesi sono legati ai primi episodi. In città fortunatamente con le misure di distanziamento sociale sono e siamo riusciti a fermare diffusione e contagio».

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Ma davvero non ha sbagliato nessuno? Finirà come sempre che nessuno paga per gli errori fatti e per i morti?

«Capisco la drammaticità della situazione, ma come si fa a dare la colpa a qualche singolo, era il sistema che non funzionava. Se tu dal Pronto soccorso vai direttamente in Unità coronarica e i tamponi non si fanno subito ma magari il giorno dopo e i risultati arrivano successivamente, a chi devo dare la colpa? Noi in quella fase eravamo obbligati a fare tamponi solo ai sintomatici. Ma se ce l’hai già, beh allora… Quindi, secondo me, errore di sistema non di singoli. Molte cose le abbiamo imparate a livello locale e anche di comunità scientifica immagino».

È per questo che le non ha gradito la nomina del commissario straordinario dell’Aou da parte della Regione, che pure lasciava trasparire la necessità di intervenire con decisione nell’emergenza in atto?

«Io non ho criticato la nomina di Giovanni Maria Soro. Ho contestato anche lì il sistema. Mi spiego: in una fase emergenziale, mentre siamo all’apice della nostra criticità, tanto da avere paura che i posti letto della terapia intensiva non siano più sufficienti perché i numeri stanno progressivamente crescendo, perché commissariare in quei giorni l’Aou che era sotto il fuoco nemico? E poi perché assegnare un potere straordinario che chi aveva gestito fino a quel giorno non aveva perché era dimezzato come capacità e svolgeva solo l’ordinaria amministrazione? Ho solo ritenuto inopportuna in quella fase la nomina di una persona che non conosceva l’azienda. Tutto qua, nessun giudizio personale sul dottor Soro, sul quale tra l’altro ricevo segnali di assoluta preparazione e capacità».

Nelle emergenze così forti servirebbe unità e massima collaborazione. Le opposizioni l’hanno cercata, Mariano Brianda le ha scritto: perché non ha risposto?

«Mi sono già scusato con tutti quelli, e sono tanti, che mi hanno inviato segnalazioni e consigli, che si sono messi a disposizione. Purtroppo non ho risposto a nessuno. Ho indicato Mariano Brianda come esempio di persone con le quali mi devo scusare. Devo dire che ho letto tutti i contributi che sono arrivati anche se, inevitabilmente, ho dovuto fare le opportune valutazioni. Perché non sempre chi scrive, anche in buona fede, è davvero esperto di un settore. Non ho avuto modo e tempo di dedicarmi a rispondere, e non sarebbe stato giusto rispondere solo a Brianda».

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Parecchi medici sono rientrati volontariamente dalla pensione e hanno ripreso il loro posto in ospedale per dare una mano a contrastare l’emergenza. Ci ha pensato che poteva essere più utile lì che a Palazzo Ducale?

«È vero, ci ho riflettuto. Ma la mia specializzazione non è tra quelle che sarebbe risultata utile. Se fossi stato un medico o infermiere di rianimazione o un infettivologo mi sarei messo a disposizione senza esitare. Ho avuto solo un momento di esitazione se entrare a Casa Serena perché stavamo ballando molto, anche per la mancanza all’interno di una figura medica. Però poi ho valutato che non essendo medico di base o specialista poteva sembrare solo una forma di esibizionismo e magari mi avrebbero fatto a pezzi. Ho chiesto e ottenuto, invece, la collaborazione volontaria di tanti colleghi. In primis Sergio Babudieri, e con lui ringrazio tutti. Ci sentiamo ogni giorno. La mia presenza sarebbe stato solo motivo di speculazione».

Lei è finito nel mirino per via di quella crociera mentre scoppiava l’emergenza Covid, è stato anche costretto a mettersi in quarantena. Ha sottovalutato il problema?

«Come medico ho girato il mondo, sono stato come volontario a curare malati in zone dove c’erano epidemie gravi. Sono tornato a casa sempre sano, so come comportarmi. Quello della crociera è un falso problema. Ho il diritto come altri di poter andare in vacanza con la famiglia. La prenotazione era stata fatta l’anno prima. Quando è scoppiato il problema in Cina mi posto il problema se fosse il caso o meno di partire. Io e altri abbiamo ricevuto assicurazioni che nessun passeggero in transito dalla Cina sarebbe stato imbarcato sulla nave. Siamo partiti in sicurezza, al ritorno ho fatto tre giorni di isolamento, uno scrupolo niente di più».

Però c’era la questione dell’arrivo (poi saltato) del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Sassari. E l’assenza del sindaco non sarebbe stata una bella cosa. Ci ha riflettuto?

«Una decina di giorni prima della partenza ho saputo indirettamente che all’inaugurazione dell’anno accademico sarebbe intervenuto il presidente Mattarella. Il Comune di Sassari non ha ricevuto nessuna comunicazione ufficiale. Io tra l’altro avevo passate esperienze: Scalfaro quando ero parlamentare venne a Sassari, e Ciampi da sindaco, lui sì in visita ufficiale. E tutte le volte era stato attivato il cerimoniale del Comune. Comunque, nessun contatto con l’amministrazione comunale ma solo la presenza annunciata all’Università. Mi sono posto ugualmente il problema e due giorni prima della mia partenza ho parlato con il ministro Gaetano Manfredi, che è un mio amico e doveva essere presente. E mi dice: “Ma sai, io vengo per conto mio perché non c’è collegamento diretto con il presidente”. Al che ho ragionato: se anche il ministro viene per conto suo vuol dire che ancora non vi è certezza dell’arrivo del presidente Mattarella, quindi io avrei dovuto sacrificare la mia vacanza per un qualcosa che poi poteva non avvenire, come si è dimostrato. In ogni caso la rappresentanza del Comune nella sede dell’Università era garantita. Questo è il motivo per cui sono partito».

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L’emergenza è ancora in atto. Dopo oltre un mese di restrizioni e di segregazione in casa, che cosa dire alla gente?

«Non possiamo pensare di aprire una stagione turistica con le vecchie regole. Abbiamo avuto fortuna - anche con i picchi del Sassarese - nel restare abbastanza immuni dalla grande tragedia nazionale. Non è pensabile togliere i vincoli tra uno o due mesi alle frontiere isolane. Perché da molte zone calde tenderanno a raggiungere la Sardegna come paradiso per la vacanza, ma anche per una buona convalescenza. E questo noi non possiamo permettercelo. Quindi la Regione dovrà intervenire perché quello sarà un settore che ripartirà il più tardi possibile. Vorrei aggiungere che nella nostra terra ci sono risorse, settori meno toccati di altri dall’emergenza. Ecco in questi momenti solidarietà e unione vuol dire anche spendere qui. Noi dobbiamo fare il turismo nella nostra Isola. Una città come Sassari che ha una alta percentuale di stipendi fissi e pensioni, può fare la sua parte: spendiamo sardo, aiutiamoci tra di noi. Giusti e sacrosanti i contributi pubblici. Ma restiamo in Sardegna e investiamo qui».

Sarà dura ripartire, in tanti hanno paura di non farcela perché i tempi che dividono teoria e realtà quotidiana sono implacabili...

«Le difficoltà sono tante, inutile fare finta di niente. Ma l’emergenza ha fatto apparire la parte migliore di noi attraverso il volontariato. È la nostra forza reale e lo avevo già apprezzato nella mia esperienza passata di sindaco. Un sistema radicato e diffuso, bellissimo. Che aiuta a ripartire pur tra le difficoltà. Ho visto però anche le debolezze: Casa Serena è una, la più eclatante. Poi l’aspetto della tecnologia: l’amministrazione è andata in tilt per la nostra carenza sotto il profilo informatico. É una cosa che avevo già denunciato e sto ancora combattendo per migliorare. Un sistema che funziona fa girare tutto il resto. Bisogna portare Sassari in questo millennio, perché siamo rimasti troppo indietro, e non è una polemica politica. C’è tanto da fare».

Cavalcata e Candelieri, due feste e due appuntamenti storici per Sassari e per la Sardegna. La gente si chiede come andrà: ci sono già delle decisioni?

«La Cavalcata è slittata e valuteremo come e quando recuperarla. Lo spirito potrebbe essere: non più e solo per i turisti ma per noi, è l’unica festa non religiosa. La caratterizzerei come “orgoglio sardo”. Per i Candelieri ho già chiesto che anche quest’anno il Voto alla Madonna venga sciolto, con un ritorno ancora più forte all’aspetto religioso».

Teme i fischi?

«No, l’anno scorso - come dicono a Sassari - sono stati pogghi e francamente non ho sentore che quest’anno si vada verso chissà quale contestazione. Ma non me ne preoccupo. Credo che questa esperienza che stiamo vivendo ci debba davvero riportare anche a quel senso religioso. Se non altro per rispetto a quelli che ci credono. È un po’ come il problema del rispettare le regole del non uscire. Si fa per se stessi e soprattutto per gli altri. Lo scioglimento di un Voto non ha che fare con la politica, quella si fa altrove. E lo dice uno abituato alle polemiche politiche e alle critiche, me ne hanno detto di tutti i colori. La rete è diventata un luogo infrequentabile. Mi dispiace che la nostra Festha Manna venga svilita dalla politica, solo per fischiare il sindaco in base alla sua collocazione. Tuteliamo e difendiamo i Candelieri e il 14 agosto mi piace immaginare che noi saremo fuori da questa tragedia. La Faradda tutti con la mascherina? Va bene, ci sto. Però il Voto lo dobbiamo sciogliere».

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