Uccise la fidanzata confermati 30 anni
di Kety Sanna
Omicidio di Erika: esclusa l’infermità mentale per Fricano
17 luglio 2020
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SAN TEODORO. Trent’anni di carcere per Dimitri Fricano. Lo ha deciso ieri la Corte d’assise d’appello di Sassari, presieduta da Plinia Azzena che a fine mattinata ha letto il dispositivo della sentenza di condanna per il giovane di Biella, accusato di aver ucciso tre anni fa la fidanzata con 52 coltellate, durante una vacanza in Sardegna. I giudici, accogliendo tutte le richieste del procuratore generale, Gabriella Pintus, e degli avvocati di parte civile, Lorenzo e Chiara Soro, hanno riconosciuto all’imputato le aggravanti per i futili motivi e lo hanno condannato anche per la simulazione di reato. Il femminicidio di San Teodoro, si è chiuso, dunque, con la conferma della sentenza di primo grado. I genitori di Erika, Fabrizio Preti e Tiziana Suman, erano presenti in aula al momento della lettura del dispositivo e hanno commentano amaramente una sentenza che, comunque, non dà loro pace: «è giusto che paghi per quello che ha fatto. Non possiamo perdonarlo. Troppo il dolore causato».
L’11 giugno 2017 era una calda domenica d’estate quando a Lu Fraili, sulla vecchia statale 125, Erika Preti, 28enne piemontese, in vacanza col fidanzato era stata uccisa a coltellate. Dimitri Fricano, allora 30enne, era rimasto ferito. Poco dopo il delitto era stato lui a raccontare ai carabinieri che un uomo si era introdotto all’interno della villetta e li aveva aggrediti. Ma il racconto del giovane, da subito, non aveva convinto gli inquirenti che sul luogo del delitto avevano trovato solo tracce riconducibili alla coppia. Più passavano le ore è più la versione del 30enne si allontanava dagli elementi raccolti all’interno della casa che facevano emergere sempre più chiaramente le responsabilità a suo carico. La storia che lui ed Erika avevano subito una brutale aggressione durante un tentativo di rapina, infatti, aveva avuto vita breve. Un mese dopo il fatto Fricano, forse spinto dai sensi di colpa, aveva deciso di svuotare il sacco, raccontando cos’era successo quel giorno dentro la villetta a pochi chilometri dal mare.
Stando alla sua confessione, la situazione era precipitata dopo alcuni scontri verbali con la fidanzata, per banali disaccordi che si erano verificati nel corso della mattinata. Il primo litigio era nato per una rotonda imboccata per sbaglio; il secondo per il tavolo sporco di briciole di pane; il terzo perché all’uscita della stanza da bagno Dimitri Fricano aveva trovato Erika in preda a una crisi di nervi mentre lo rimproverava aspramente. Da lì il litigio furibondo, culminato con 52 coltellate inferte contro la giovane, lasciata a terra esanime. Poi la falsa ricostruzione di quanto accaduto per depistare le indagini. Durante i processi, di primo e secondo grado, i difensori del 33enne, gli avvocati Roberto Onida e Alessandra Guarini, a più riprese hanno cercato di far emergere i problemi psichiatrici dei quali l’imputato soffrirebbe da tempo, ribadendo che al momento del delitto Fricano sarebbe stato affetto da un vizio parziale di mente per via di una «compromissione parziale transitoria della capacità di volere». Perizia, però, smentita anche dall’ultimo accertamento psichiatrico sulle condizioni mentali del giovane biellese, che ha permesso di accertare senza alcun dubbio che al momento del delitto di Erika Preti era perfettamente in grado di intendere e di volere.
L’11 giugno 2017 era una calda domenica d’estate quando a Lu Fraili, sulla vecchia statale 125, Erika Preti, 28enne piemontese, in vacanza col fidanzato era stata uccisa a coltellate. Dimitri Fricano, allora 30enne, era rimasto ferito. Poco dopo il delitto era stato lui a raccontare ai carabinieri che un uomo si era introdotto all’interno della villetta e li aveva aggrediti. Ma il racconto del giovane, da subito, non aveva convinto gli inquirenti che sul luogo del delitto avevano trovato solo tracce riconducibili alla coppia. Più passavano le ore è più la versione del 30enne si allontanava dagli elementi raccolti all’interno della casa che facevano emergere sempre più chiaramente le responsabilità a suo carico. La storia che lui ed Erika avevano subito una brutale aggressione durante un tentativo di rapina, infatti, aveva avuto vita breve. Un mese dopo il fatto Fricano, forse spinto dai sensi di colpa, aveva deciso di svuotare il sacco, raccontando cos’era successo quel giorno dentro la villetta a pochi chilometri dal mare.
Stando alla sua confessione, la situazione era precipitata dopo alcuni scontri verbali con la fidanzata, per banali disaccordi che si erano verificati nel corso della mattinata. Il primo litigio era nato per una rotonda imboccata per sbaglio; il secondo per il tavolo sporco di briciole di pane; il terzo perché all’uscita della stanza da bagno Dimitri Fricano aveva trovato Erika in preda a una crisi di nervi mentre lo rimproverava aspramente. Da lì il litigio furibondo, culminato con 52 coltellate inferte contro la giovane, lasciata a terra esanime. Poi la falsa ricostruzione di quanto accaduto per depistare le indagini. Durante i processi, di primo e secondo grado, i difensori del 33enne, gli avvocati Roberto Onida e Alessandra Guarini, a più riprese hanno cercato di far emergere i problemi psichiatrici dei quali l’imputato soffrirebbe da tempo, ribadendo che al momento del delitto Fricano sarebbe stato affetto da un vizio parziale di mente per via di una «compromissione parziale transitoria della capacità di volere». Perizia, però, smentita anche dall’ultimo accertamento psichiatrico sulle condizioni mentali del giovane biellese, che ha permesso di accertare senza alcun dubbio che al momento del delitto di Erika Preti era perfettamente in grado di intendere e di volere.