La Nuova Sardegna

Incastrato dalla tecnologia per un omicidio di 12 anni fa

di Enrico Carta
Incastrato dalla tecnologia per un omicidio di 12 anni fa

La Procura di Oristano ha arrestato Mirko Marteddu, 39 anni di Orotelli

05 novembre 2020
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SODDÌ. L’indagine l’aveva sfiorato nei mesi successivi al delitto. Dodici anni più tardi ha fatto centro. Tradito da un’impronta palmare, da una telefonata e dalle nuove tecnologie che hanno trasformato in prove quelli che al tempo dell’omicidio erano solo indizi non utilizzabili, è finito in carcere Mirko Marteddu, 39 anni di Orotelli, accusato di omicidio e rapina. È uno dei presunti autori dell’aggressione per cui morì il pensionato 86enne, Giuseppino Carboni. L’indagato probabilmente pensava di essere sfuggito alle maglie della giustizia, per lo meno per quel reato quasi dimenticato. Al momento altri guai con la legge sembravano rincorrerlo, guai certo meno preoccupanti di quello per una doppia accusa di omicidio e rapina. Qualche settimana fa era infatti finito ai domiciliari dopo un blitz della polizia in Lombardia che l’ha pizzicato nei pressi del confine con la Svizzera con un carico un po’ ingombrante di 103 chili di marijuana.

L’arresto. Gli inquirenti, che stavano già monitorando i suoi spostamenti per evitare fughe comunque improbabili a dodici anni di distanza, non hanno dovuto faticare più di tanto a rintracciarlo quando martedì sono andati a effettuare l’arresto. Il provvedimento è figlio della misura cautelare chiesta dal procuratore Ezio Domenico Basso e dal sostituto Valerio Bagattini che hanno ripescato dal cassetto dei fascicoli dormienti quell’indagine che sembrava destinata a morire così come era nata, ovvero con diversi sospettati e nessun colpevole. Invece le migliori tecniche investigative e la tenacia nel voler risolvere il delitto del 22 giugno 2008 hanno dato frutti maturi così tanto tempo dopo. Sulla base delle nuove prove raccolte in quasi due anni di indagini, la giudice per le indagini preliminari, Silvia Palmas, ha infatti accolto la richiesta della procura e deciso la custodia cautelare in carcere che attendeva solo essere eseguita.

La firma sul delitto. Che la svolta fosse dietro l’angolo lo si era capito a fine agosto. La Squadra mobile della questura, coordinata dal dirigente Samuele Cabizzosu, aveva lasciato intuire che la nebbia che aveva offuscato le prime indagini si era diradata. In realtà il nome di Mirko Marteddu era comparso sin dai giorni successivi all’omicidio accanto a quello di altri sospettati e non v’è dubbio che ad agire la sera del 22 giugno fosse stata una banda di più persone non certo alle prime armi. Gli indizi raccolti nella carbonaia di via Ghilarza, che Giuseppino Carboni aveva trasformato in casa pur vivendo senza acqua e senza luce e servendosi dell’abitazione della sorella Maddalena per ogni bisogno che non fosse quello di dormire, non erano sufficienti. La vittima era stata legata e imbavagliata e proprio sul rotolo di scotch e su un tampone di carta che era stato inserito nella bocca di Giuseppino Carboni erano state ritrovate un’impronta palmare e un’impronta digitale.

Le nuove verifiche. Erano state esaminate anche nel 2008, quando ad avere in mano l’inchiesta erano i carabinieri. C’era però un problema: la tecnologia di allora non consentiva la ricostruzione sufficiente ad attribuire l’impronta a una determinata persona e così, visti i forti sospetti che gravavano su Mirko Marteddu, si erano battute altre vie, tra cui quella dei tabulati telefonici. Non era stato possibile però incrociare i dati di allora con l’elemento decisivo dell’indagine attuale. La polizia scientifica di Cagliari, guidata dal comandante Cosimo Mancini, ha fatto passi in avanti utilizzando nuove tecnologie e alla fine l’impronta ritrovata sul rotolo dello scotch è stata ricostruita in maniera più dettagliata. È quella per gli inquirenti la firma sul delitto, la sola firma sin qui ritrovata perché quello è un omicidio compiuto da più mani: almeno tre persone agirono per un bottino miserabile di poche centinaia di euro, qualche avanzo della pensione di Giuseppino Carboni che, dopo aver subito anni prima un altro furto, aveva deciso di affidare alla sorella i suoi risparmi. Forse i banditi si aspettavano di trovare molto di più ed è per quello che lo maltrattarono, abbandonandolo al suo destino dopo aver cercato invano di strappargli il segreto su quale fosse il nascondiglio dei soldi.

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