La Nuova Sardegna

Un pit stop nel Covid Hotel per ripartire dopo la paura

di Claudio Zoccheddu
Un pit stop nel Covid Hotel per ripartire dopo la paura

A Santa Maria Coghinas l’albergo dove decine di persone lottano contro il virus

14 novembre 2020
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INVIATO A SANTA M. COGHINAS. È un’oasi di pace che sembra sospesa nello spazio, tra giardini rigogliosi e campi coltivati immersi nel silenzio della campagna. Chi la abita ha visto i fantasmi ma non ha voglia di avere paura. Non più. Le preoccupazioni adesso sono due: riabbracciare le famiglie al più presto possibile ed evitare che si parli male di quella che è diventata, non certo per scelta, la loro nuova casa. «Perché questo è un albergo a quattro stelle, ma la realtà è diversa: ne merita almeno 8 e una menzione d’onore nella guida Michelin perché anche il cibo è ottimo», dice uno dei pazienti positivi che lotta contro il virus dalla stanza del Montiruju Hotel di Santa Maria Coghinas, una delle strutture ricettive che ospita le persone contagiate dal Sars-Cov-2 che non hanno più bisogno di cure particolari. Provengono dagli ospedali di tutta l’isola, ne hanno viste e provate di tutti i colori e si sono riconciliati con il mondo proprio a Santa Maria Coghinas, a due passi dalla rocca scelta dai Doria per ospitare il loro avamposto.

Il Covid Hotel. Al momento nella struttura soggiornano una quindicina di pazienti, ma la settimana scorsa erano 35. Il via vai è continuo ed è gestito dall’Ats. Sono loro ad occuparsi del booking, sono loro che segnalano chi è pronto ad abbandonare la struttura e chi invece può prepararsi a una degenza bucolica a due passi dal fiume Coghinas. E sono sempre loro, tutti i giorni, a visitarli nelle camere in cui vivono in attesa del fatidico tampone negativo che vale il biglietto di ritorno verso casa. Quella vera.

Giuseppe Dettori è il titolare del Montiruju Hotel e ne spiega il funzionamento: «È una situazione molto diversa da quelle a cui siamo abituati. Bisogna stare molto attenti ma per fortuna questa struttura è l’ideale per questo tipo di degenza. Il corpo principale dell’hotel è separato dalle camere e i pazienti hanno a disposizione le verande e una corte interna in cui, nelle belle giornate, possono prendere una bella boccata d’aria. Ovviamente per le pulizie ci siamo rivolti ad un ditta specializzata mentre i pasti vengono distribuiti in contenitori usa e getta che lasciano sul tavolo della veranda e poi ritiriamo senza avere alcun contatto». Sara Satta è l’anima dell’hotel, gestisce gli ospiti e le camere ma in questo periodo tenta di risolvere i problemi dei nuovi ospiti: «Ci proviamo. Qualche volta gli recapitiamo i pacchi che inviano le famiglie. Poi forniamo il wi-fi, in modo che siano possibili tutte le comunicazioni e si sentano meno soli». Ci sono stati anche momenti complicati, soprattutto subito dopo l’arrivo dei primi ospiti: «In paese erano un po’ preoccupati – spiega – ma solo perché non era chiaro quale sarebbe stato il nostro compito. Ora è tutto superato e hanno capito che non c’era alcun rischio per la comunità».

Gli ospiti. Arrivano da tutta la Sardegna e anche da più lontano. C’è chi è in degenza sin dal primo giorno di apertura e chi invece è appena arrivato. Nel grande parcheggio deserto dell’albergo passeggia una donna, ha 39 anni, arriva da Alghero e come tutti gli altri è positiva al Sars-Cov-2. Prima di parlare chiede rassicurazioni: «Lei è un giornalista? Non mi riprenda per favore». Poi racconta la sua storia, in poche parole: «Sono qua dal 26 ottobre – spiega – ma per fortuna sto bene. Il personale dell’hotel è molto gentile e ospitale. Siamo fortunati ad essere finiti qua. Certo, a casa si sta meglio ma non posso andarci». Nella corte dell’hotel ci sono altri pazienti. Per parlarci bisogna avvicinarsi, ma non troppo. Sono al sole, indossano tutti la mascherina e stanno a distanza. Oltre che dal Sassarese arrivano da Cagliari, Oristano, Nuoro. Ma il più distante da casa è un marittimo napoletano di 58 anni, risultato positivo a bordo della nave in cui presta servizio e sbarcato in Sardegna. Per lui è una giornata speciale: «L’ultimo tampone è negativo – racconta – se tutto va bene domani (oggi, ndr) sarò casa. A bordo sono stato sempre attento, usavo la mascherina, i guanti e l’igienizzante. Eppure sono stato contagiato lo stesso. Per fortuna da Olbia mi hanno mandato qua, in questa oasi in cui l’umanità è al top. Posso dire che mi sono trovato come se questa fosse una famiglia». Poi c’è il lungodegente della struttura, un 48enne di Ittiri che dice di essere arrivato a Santa Maria Coghinas il 22 ottobre, alle 23: «Da allora ho fatto tre tamponi, tutti positivi. Giovedì ho fatto il quarto e ora incrocio le dita. Qua si sta davvero bene, il posto è bello e ci sentiamo al sicuro, ma vorrei rientrare a casa». La sua storia è particolare: «Prima di arrivare sono stato ricoverato in ospedale, per modo di dire, a Sassari. In realtà ho passato un giorno e una notte in un container, quindi vi lascio immaginare la differenza con la situazione che vivo adesso». Poi c’è anche chi ha ancora voglia di scherzare: «Spero di stare ancora un po’ qua, sto troppo bene». Ma è solo una battuta che strappa qualche sorriso. Perché la realtà è un’altra e il richiamo di casa si sente forte e chiaro anche nella tranquillità della “bolla” di Santa Maria Coghinas.

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