La Nuova Sardegna

Salsicce, dal rito antico alla garanzia di qualità

di Pasquale Porcu
Salsicce, dal rito antico alla garanzia di qualità

È nei giorni dell’Immacolata che nei paesi si uccide il maiale Michelangelo Salis spiega i segreti della lavorazione di queste carni

20 novembre 2020
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Quando le stagioni erano regolari a novembre faceva freddo. E col passaggio dall’autunno all’inverno si raccoglievano le castagne e si ammazzavano i maiali. Nei paesi sardi era una giornata di festa. Il clou era l’8 dicembre per la festa dell’Immacolata. Le carni trasformate in salsicce avevano giusto 4-5 settimane per regalare alle famiglie salumi al punto di maturazione giusti per festeggiare il Natale. All’uccisione del maiale partecipavano in tanti: c’era chi uccideva la bestia (dopo aver fatto il segno della croce), chi raccoglieva il sangue in capaci bacinelle e chi doveva prepararlo col fuoco prima di levigare la cotenna in modo da renderla liscia e pulita. Le operazioni si svolgevano per strada, in grandi spiazzi dove si facevano dei falò. Anche i bambini partecipavano al rito con giochi e schiamazzi in attesa di avere in premio le orecchie o la coda del maiale.

Ai vicini di casa, anche a chi non aveva dato una mano durante la macellazione, veniva riservata una parte di carne. Tutti donavano a tutti e ciascuno riceveva, di volta in volta, una quota di carne da chi macellava.

«Più che una macellazione – racconta Michelangelo Salis, di Ploaghe (nella foto con lo chef giapponese Hiro), artigiano e poeta della salumeria – era quasi un sacrificio. Erano feste nelle quali l’aspetto culturale prevaleva su quello economico. Anche se il maiale, in ciascuna famiglia, rappresentava una fondamentale risorsa economica. Il maiale, si sa, è carne, grassi, materia prima per la preparazione di salumi e sanguinacci.

«In ogni casa c’era almeno un maiale – prosegue Salis – un animale domestico a cui ci si affezionava. Mia nonna, ricordo, tutti i giorni preparava una pentolata calda di fave condite con lardo e croste di formaggio. L’alimentazione dell’animale prevedeva anche gli avanzi della cucina e soprattutto le ghiande. Più l’alimentazione era curata migliori erano le carni del suino. Sia quelle di consumo immediato che quelle destinate alla preparazione dei salumi».

Ogni paese, ogni famiglia ha una ricetta originale per fare le salsicce. Chi mette il finocchietto, chi l’aglio. Chi aggiunge il vino rosso e chi crede di aver trovato la porzione giusta per il pepe, la noce moscata e gli altri ingredienti. «Io aggiungo anche un pochino di miele e propoli – dice Salis – che ha una grande funzione come batteriostatico. Cospargo la carne fresca con dell’aglio fresco di Florinas prima dell’aggiunta del miele, possibilmente di cardo, poi aggiungo il Cannonau e lascio riposare tutta la notte. E la mattina aggiungo del sale marino. Il resto lo fa il tempo e quel poco di licore de fumu che c’è nelle cucine che abbiano un camino a legna. Per me è il miglior modo per fare le salsicce da “su mannale”. Ma l’aspetto che mi interessa salvare di quelle preparazioni è quello filosofico e culturale. La presenza del maiale in casa dava a tutta la famiglia un senso di serenità e trasmetteva, comunque, un messaggio sul ciclo della vita: si nasce, si vive e si muore. Questa cultura è sparita, soprattutto dalla nostra quotidianità. Oggi si va a fare la spesa al supermercato e non sai, dentro quella che chiamano salsiccia, che cosa ci sia. Per cui, forse ha ragione un mio amico che dice che oggi le salsicce le fanno anche dalla carne di maiale». Un altro aspetto importante, per Michelangelo Salis, è quello della stagionalità. I maiali si uccidono nei mesi freddi e non tutto l’anno. E le salsicce idem. «Se il maiale viene allevato e alimentato bene – dice Michelangelo Salis –, le carni sono buone, sane e profumate. Non ci credete? Provate ad assaggiare una salsiccia fatta a dicembre con le carni di un maiale non stressato e poi fate il confronto con un prodotto industriale. E noterete le differenze».

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