La Nuova Sardegna

Soldi e potere nella guerra di vaccini e politica

di Andrea Ruzzeddu*
Soldi e potere nella guerra di vaccini e politica

Le aziende danno più dosi ai Paesi che pagano di più. E l’Italia, alle prese con la crisi di Governo, resta indietro 

04 febbraio 2021
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Rabbia è un sentimento poco proporzionato alla situazione della distribuzione dei vaccini nell’Unione Europea. Il grande mercato unico che incoraggia gli scambi commerciali liberi da dazi all’interno degli Stati Membri, non riesce a essere competitivo nel mercato globale per ottenere e fornire ai propri cittadini la possibilità di tornare a una vita normale: dopo aver sottoscritto i contratti per l’ottenimento di vaccini contro il Covid-19 con le case farmaceutiche Pziter/Biontech e AstraZeneca che hanno di recente ottenuto l’approvazione del loro prodotto dall’Ema, le stesse aziende non rispettano i patti e decidono di dare priorità a chi paga di più. In breve, se l’Unione Europea è riuscita ad ottenere un buon numero di dosi nonostante il basso prezzo pattuito, altri Stati extra-Ue, pagando di più, hanno ottenuto più dosi in minor tempo. Per esempio, Israele paga ben circa 13,5 dollari in più per ogni dose rispetto all’Unione Europea (che li ottiene a 14,5 euro), questo significa che riuscirà ad ottenere l’immunità epidemiologica in minor tempo battendo ben ventisei Stati membri. Nel nostro Paese questo si traduce in una riduzione del 60% delle dosi nel primo trimestre: se prima dovevano arrivare otto milioni di dosi, ora ne arriveranno solo 3,4. Facendo un calcolo elementare, se la popolazione totale in Italia è di 60 milioni, con una quantità così bassa di vaccini non si riuscirà a dare una singola dose nemmeno a un terzo della popolazione, senza contare la seconda dose di richiamo. I richiami del Presidente della Commissione Europa, Ursula Von Der Leyen, sono serviti a poco: quando ci sono i soldi di mezzo, i principi morali possono anche aspettare.

In aggiunta a tutto ciò, l’Italia, o meglio Italia Viva, sentiva un forte bisogno di far sentire la propria voce proprio in questo periodo, nel momento peggiore. Questa azione è parecchio discutibile ma ciascuno di noi è libero di fare le sue considerazioni. Sta di fatto che una crisi di Governo era quello che serviva per rimettere ordine nel Paese, o almeno questo è quello che forse ha pensato il leader del partito della discordia, Matteo Renzi, il quale, durante i giorni più critici del “terremoto” il cui epicentro è stato individuato precisamente sulla sua poltrona in Senato, aveva intrapreso un lungo pellegrinaggio in Arabia Saudita verso la fastosa corte del principe Bin Salman a porgere i “nostri” gentili omaggi. Benché questo incontro abbia avuto delle conseguenze in Italia, forse non era questo il momento per risolvere la questione: perché non è stato fatto prima, perché non dopo? Ma d’altra parte, l’ex premier afferma che non è stato lui a far cadere il Governo. Forse era predestinato che i due Matteo andassero a braccetto in quanto a decisioni, mai di tendenza, sempre originali e controcorrente. Ora la situazione politica non è delle migliori poiché non c’è nessun partito che abbia una maggioranza sufficientemente forte per salire da solo al Governo: se e quando si tornerà alle elezioni, la ricerca di un’alleanza per sommare le loro percentuali sarà dunque inevitabile ma, a detta di chi di recente ha scatenato le crisi, questi tipi di “matrimoni” finiscono sempre con un divorzio. Dunque la domanda che vorrei porre a Renzi è: che cosa spera di fare col suo partito che, secondo gli ultimi sondaggi, guadagnerebbe il 3% a malapena in entrambe le Camere?

E ancora una volta a perderci è l’unico che ha tentato di tenere alti i principi della democrazia e della Repubblica Italiana: Giuseppe Conte, di nuovo ha dovuto rassegnare le sue dimissioni, visto l’insufficiente appoggio delle Camere.

* Andrea frequenta il Liceo Classico Europeo Canopoleno

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